Il nostro primo stagista.

Ieri ha finito il suo stage estivo presso la ermesponti, il primo stagista della ermesponti ;  ci siamo dal 1937, ma abbiamo scelto questo nuovo nome solo il primo ottobre scorso, dopo la scissione dal vecchio arredamenti ponti ( che è rimasto come negozio di mobili), perché crediamo che un nome e cognome di persona possano meglio rappresentare i valori sui quali è fondata la nostra realtà; in particolare, la fiducia di un rapporto diretto personale, sartoriale, con il nostro cliente.

Eugenio, primo stagista della Ermesponti, mentre impara da un mastro falegname

Di questo si tratta in realtà; siamo una sartoria dell’arredo; uno studio di architettura dentro un laboratorio di ebanisteria contemporanea.

Qui lo stilista e il sarto sono la stessa persona; parafrasando uno dei nostri maestri d’architettura, Adolf Loos, potremmo definirlo ancor meglio; “l’architetto è un muratore che ha studiato Il latino” diceva Loos di se stesso o, “un falegname” si potrebbe dire Paolo Ponti. E così come Loos, era figlio di un marmista, Palladio di un lapicida o Raffaello di un pittore capo-bottega anche Paolo Ponti è figlio di un falegname, nipote persino; la terza generazione.  Dall’ età di otto anni ha fatto il mozzo di bottega e ancora oggi, magari in fase di installazione, si toglie la giacca, appoggia la matita e prende in mano l’avvitatore.

Paolo è un falegname colto; si è laureato a Firenze studiando Firenze stessa con la matita in mano direttamente a lezione da Michelangelo o da Brunelleschi; erano gli anni novanta e ancora si studiava la vera Composizione Architettonica ( ho appreso che al Politecnico questa disciplina non esiste più) da professori come Gian Carlo Leoncilli Massi o Adolfo Natalini.

Ma il suo maestro più importante è stato Leon Battista Alberti; dalle definizioni teoriche del “lineamentum ( disegno)  albertiano nel trattato simbolo di tutto il Rinascimento, il  “De Re Aedificatoria” , fino ai lunghi rilievi delle sue fabbriche mantovane e gli studi delle proporzioni numeriche sulla base delle quali è stata progettata e costruita la loro indomita bellezza (come concinnitas universarum partium) insieme allo studioso mantovano Livio Volpi Ghirardini o allo storico scozzese Joseph Rykwert.

L’insegnamento rinascimentale Paolo lo ha portato in studio e in fabbrica mettendo in pratica la sua intuizione anti- crisi per il superamento del vecchio sistema anglosassone di stampo taylorista in favore di un recupero dell’italian way; non solo come stile di vita, ma anche come modo di lavorare e di essere competitivi sul mercato.

Ha capito -e credo non sia l’unico né il solo- che si può essere competitivi aumentando la qualità; attraverso la riunificazione della “Teoria e della “Pratica – tanto per dirla con Vasari- cioè del processo che porta dalla prima idea progettuale alla produzione e gestione coordinata del cantiere, si può massimizzare la qualità architettonica degli spazi interni e quella  artigianale degli arredi; il tutto con una sensibile riduzione a due cifre del fattore cruciale tempi- costi.

Anche grazie alla fiducia che per primo gli ha dato il gruppo mantovano della moda maschile Corneliani, Paolo pensa, disegna, produce e gestisce i cantieri delle boutique del marchio con un metodo di progettazione integrata che consente una qualità dei negozi altissima – ai livelli dei più prestigiosi marchi internazionali del lusso- con un deciso contenimento dei tempi di realizzazione e un forte abbattimento dei costi.

L’architetto – falegname che -come ha scritto la penna autorevole di Dario De Vico sul Corriere della sera qualche settimana fa- “ha sconfitto la globalizzazione” in realtà è solo un capo-bottega italiano che ha avuto il merito di riattualizzare la cultura rinascimentale italiana nel nuovo contesto del mercato globale e dell’altrettanto globale crisi economica.

La crisi come opportunità di cambiamento; dal greco “crisis come scelta.

E, come nel Rinascimento, per uscire dalla “peste nera” dei mercati finanziari, bisogna mettere al centro l’uomo, l’homo ad circulum leonardesco; per noi della ermesponti vuol dire creare la figura del ” falegname evoluto” che non è più mero operaio esecutore ma partecipa alla fase della progettazione esecutiva, disegna al CAD e poi taglia alla macchina al controllo numerico i suoi arredi; li costruisce e poi li va ad installare, ovunque nel mondo.

E anche l’architetto si è evoluto; memore di Vasari, non separa più la Teoria dalla Pratica, memore di Loos, si sporca le mani in bottega, memore del caro Gio Ponti, non disperde la cultura del nostro sapere artigiano millenario, ma la apprende per tramandarla ancora alle generazioni future.

L’architetto d’oggi, l’architetto universitario, impari da tutti gli artigiani; impari dal marmista (le superfici lucide, levigate, a martellina, a bocciarda, a scaglia); impari dal falegname, dallo stuccatore, dal fabbro, da tutti gli operai e gli artigiani (è bellissimo). Gio Ponti in “Amate l’architettura”.

Ecco, l’architetto evoluto che conosce la teoria, la storia, la composizione architettonica e la pratica dei mestieri destinati a costruire materialmente i suoi pensieri figurativi.

Il primo stagista  della ermesponti è stato un architetto neolaureato, si chiama Eugenio e – il nome stesso è bene augurante – per due mesi ha fatto lavori umili  e pazienti al fianco di maestri falegnami con i capelli bianchi che gli hanno insegnato cosa c’è dietro quelle piccole architetture sartoriali di interni che un giorno progetterà egregiamente anche lui.

Auguri Eugenio; auguri ermesponti!

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