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Cos’è un falegname per noi di ermesponti.

Si fa presto a dire “falegname”.

In ermesponti coltiviamo questo antico mestiere con attenzione e rispetto.

Falegname presso ermespontiMolti dei nostri carpenters (così li definiscono i nostri clienti internazionali) sono in realtà maestri falegnami, che hanno imparato con noi, negli anni, progetto dopo progetto, a lavorare il legno.

In ermesponti, a partire dal titolare – il quale, nonostante la cinquantennale storia imprenditoriale, ha sempre voluto “falegname” sulla carta d’identità – essere falegname significa essere al cuore operativo dell’azienda, laddove il pensiero si fa materia Signor ermes ponti,titolare dell'azienda omonima, al lavoro con un falegnamegrazie all’opera della mano, per poi restituire alla mente l’esperienza vissuta della lavorazione manuale, in un arricchimento costante e fluido, senza divisioni tra “chi pensa” e “chi fa”.

In ermesponti “pensare” e “fare” sono due prospettive dello stesso sguardo,  due fasi dello stesso progetto, due momenti della stessa giornata. Non c’è separazione tra lavoro della mente e lavoro della mano, indipendentemente dai ruoli aziendali.

Un falegname di ermesponti (Mantova, Italy) al lavoroQuesto “dialogo” costante tra pensiero e azione,  costituisce un continuum che porta, secondo noi, all’eccellenza nella realizzazione di un pezzo di interiors, sia esso residenziale, retail o yacht.

E se vogliamo entrare nell’operativo, ecco come è organizzato il lavoro.

Ogni falegname è responsabile del proprio lavoro e della propria micro-commessa (cioè della parte della commessa oggetto della specifica fase del lavoro).
Dopo aver parlato con l’architetto sulla base dei suoi disegni esecutivi, il falegname ermesponti si disegna da solo al computer le schede necessarie per la produzione, poi esegue i tagli dei pannelli alla macchina a controllo numerico, così da ottenere precisione millimetrica nelle lavorazioni più difficili; infine completa le parti più importanti a mano e assembla l’arredo in laboratorio prima della fase di verniciatura per verificarne la perfezione.

Questo approccio, semplice ma non banale, ci consente di incrementare la creatività diffusa (widespread creativity), mentre il problem solving naturale dell’artigiano lavora in continuità con l’architetto, al di là della porta a vetri che li divide e li unisce.

Vi sembra poco? Per noi è tutto qui: è così che creiamo valore per i nostri clienti.
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“Se vuoi fare l’architetto, impara a fare il falegname”

Su questo, Mr. Shu ci trova sicuramente d’accordo!

Falegname al lavoro presso ermesponti Mantova

Cos’è il lusso? Riflessioni pensando all’orgoglio di essere italiani (citando Riccardo Muti).

I media si riferiscono spesso al Lusso come a una delle manie del millennio.

E giù: diagrammi (le capitali del lusso, inteso cioè come spesa per beni superflui),  definizione  del mercato annuale dedicato (17 miliardi) e dei trend di crescita (400 milioni di persone i consumer in crescita continua tra i 35 e i 40 anni),  studi e ricerche finanziati da Altagamma e Boston Consulting Group; e poi persino le etichette per categorie di consumatori del mercato globale dei beni superflui o del lusso : i socialwearer, gli experiencers, gli absolute luxerer.

Su questi ultimi leggo: “La preda (si badi bene: preda) più ambita tra le aziende di alta gamma, è l’absolute luxurer ricco, raffinato, elegante. Appartiene all’elite europea e agli Happy Few dei mercati emergenti, spende per abiti e orologi, ma anche per viaggi e vini, con particolare attenzione a tutto ciò che è unico e customizzato. Genera un mercato che vale miliardi di euro all’anno con una spesa di 30mila euro pro capite”.
Hanno persino inventato un “Luxury barometer” (strumento che misura la propensione della popolazione ricca del pianeta alla spesa futura) che rileva non solo un’inversione di tendenza globale (dal -5% del 2014 scorso anno al +15%  del 2015), ma anche  -fortunatamente – la crescita dell’interesse dei consumatori nei confronti della sostenibilità sociale ed ambientale (dall’8% al 13%) sopratutto in Europa e Stati Uniti (evidentemente mercati più maturi) che si va ad aggiungere agli altri valori determinanti la scelta di un prodotto; qualità, artigianalità, esclusività.
Tutti concetti e valori positivi – si intende – soprattutto per il nostro amatissimo Made in Italy che, nonostante la dolorosa contrazione del mercato interno, ancora resiste come uno dei maggiori esportatori di questi beni definiti di lusso.

Ma poi penso, quid tum?

Che cosa è davvero il lusso?

Possiamo accettare – noi italiani – che il lusso sia ridotto alla definizione di beni di consumo superflui? Possiamo accettare noi mercati maturi e noi società democratiche che il lusso sia legato al mero concetto di esclusività e al prezzo (e spesso svincolato dal valore vero) come suggeriscono oramai tutte le fonti e tutti i media?

Mi viene in aiuto niente di meno che il maestro Riccardo Muti con una sua bella intervista :  “Il lusso é un sussurro” rilasciata a Nicoletta Polla Mattiot. Mi sembra che suoni meglio.
Il lusso di essere italiano (Muti)
Qui il lusso è slegato da numeri e valori di mercato (anche se poi produce anche quelli) e si lega a valori i materiali come quelli dell’anima:
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“Tutti dovrebbero studiare musica (ndr: o architettura, che nel rinascimento era la stessa cosa) ingentilisce l’animo. Si andrebbe verso una società migliore”.
Concordo pienamente. E cosa cerca il Maestro nelle composizioni di musica (o di architettura, aggiungo io)?
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“Ciò che non si vede. Ciò che sta oltre. Mozart diceva che la musica più profonda è in mezzo, tra i suoni, e non nei suoni”.
(Così come l’architettura non è nelle colonne ma negli spazi tra le colonne, non nei muri ma negli spazi delimitati dai muri).

E ancora, il maestro esprime l’orgoglio di essere italiano: ” Essere nato in Italia é un privilegio. Sono orgoglioso del mio passaporto e non ne vorrei uno diverso”. Nonostante tutto per le stesse ragioni, non si può non condividere anche questo.

Poi continua:”Come musicista , di fronte all’orchestra, riesco a seguire le linee musicali di 120 persone che suonano insieme, cercandosi, avvolgendosi l’un l’altra, pur mantenendo la propria identità. Le posso seguire tutte e le sento tutte diverse, ma ognuna concorda verso un fine comune che é il bello”.
(Niente di diverso dalla bellezza architettonica definita come Concinnitas universarum partium, tale che niente si possa aggiungere o togliere senza turbare il suo equilibrio).
 E poi conclude:
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“C’é un lusso meraviglioso che regala la musica (ndr. ‘regala’, gratis, for free..); intensità nella delicatezza, quel saper suonare piano e intenso, a cui invitava Toscanini. É anche un modo di vivere. Sentire la semplice, abissale differenza che passa fra urlare , “ti amo” o sussurrarlo”.
Questa definizione è commovente.
Il lusso dunque non può essere definito come produzione e consumo di beni superflui. Il lusso è essenziale come la musica:
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“Penso che la musica non possa essere un privilegio di pochi ma un diritto di tutti è che sia un dovere dello stato insegnarla”
sostiene il Maestro  Muti.  Ma non si può possedere: “Nessuno possiede la musica”.

Il lusso dunque è innanzitutto un bene di tipo immateriale, culturale, quasi spirituale, oserei dire. È quel valore inestimabile  che ha plasmato lo spirito della nostra civiltà e che si è materializzato nelle forme di eccellenza della nostra arte, musica, architettura, letteratura.

Cerchiamo pure di definirlo, ma sfugge; più che una mania, è ” un sussurro”. Tutti lo possono sentire (la sua vocazione è democratica), ma in realtà pochi lo sentono veramente perché non é nelle cose (come la musica non é tra le note), ma tra le cose, oltre le cose. Il lusso è un esperienza incommensurabile.

L’avventura continua oppure no? Grazie Sir Chipperfield.

Sfogliando le pagine di una delle più famose riviste di design italiane (“Interni 650”) mi sono sentita persa. Mi riferisco ai servizi sul Salone del Mobile 2015: oltre 400 pagine su tutte le collezioni, i nuovi prodotti e le tendenze lanciate dai grandi marchi italiani e internazionali.
E’ l’apoteosi del “Design by”. L’esatto opposto dell’approccio Ermesponti al progetto di un interno su misura, ciò che noi chiamiamo “Designed for”, intendendo qualcosa di unico, disegnato e creato solo per te, sia esso una casa, l’interno di una boutique o uno yacht. Disegnato per te, non creato da me: questo è quel che ci piace proporre.
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Comunque sia, verso la fine della rivista, ecco qualcosa che ho trovato particolaremente valido e stimolante: le interviste ai protagonisti di questa stagione del design.
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Rome's Valentino Showroom by Chipperfield Architects - From ermesponti's blogDall’onnipresente Michele De Lucchi con i suoi nuovi studi “La passeggiata” per il posto di lavoro, alla design star Antonio Citterio, o al brillante Gabriele Centazzo… solo per citarne alcuni. Ogni intervista è stata davvero una lettura affascinante, ma devo ammettere di aver trovato particolare sintonia con una di queste, grazie a un preciso, netto senso di affinità. Mi riferisco alle dichiarazioni rilasciate dall’architetto britannico sir David Chipperfield (suo il progetto del Flagship Store Valentino a Roma, nella foto, giusto per citare una delle sue straordinarie realizzazioni).
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Driade Showroom Milan by Chipperfield Architects - From ermesponti's blogIl team di  David Chipperfield Architects ha anche progettato il nuovo Driade in via Borgogna a Milano (foto accanto) come un puro, semplice contenitore, concepito come una galleria d’arte.
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Ma sentiamo le sue parole.
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“Tutti noi – come esseri umani e come architetti, designer o art director – affrontiamo la sfida di garantire un senso alla vita”.
Può sembrare un concetto troppo filosofico, ma questa citazione mi è piaciuta molto. Mi sembra un obiettivo importante, che coinvolge la nostra vita professionale quotidiana. Se ce ne ricordassimo ogni giorno, forse il mondo potrebbe davvero diventare un posto migliore.
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Quando, poi, Chipperfield risponde riguardo all’incarico Driade, ecco come si esprime:
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Ho risposto subito. Sono un architetto, non so fare l’art director. Alla fine è sempre questione di avere idee”.
Apprezzo molto questo tipo di umiltà, ma anche il senso preciso della risposta finale che riguarda l’essenza dell’invenzione, sia in architettura sia nell’industrial design – avere idee. Una volta, all’inizio della grande stagione del design italiano, nel dopoguerra, tutti i progettisti erano architetti di formazione e professione (Gio Ponti, Carlo Scarpa, Achille Castiglioni…). Combinavano il patrimonio culturale della teoria della composizione architettonica con la cultura del fare di piccole imprese italiane di arredo nel distretto brianzolo. Hanno fatto una rivoluzione, con il loro semplice approccio problema-soluzione e la cultura architettonica italiana.
Anche parlando di “Common Ground”, tema della 13esima Biennale di Venezia curata da Chipperfield di tre anni fa, a chi lo stuzzicava su design e architettura, ha risposto:
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“L’architettura è design. Tutto è progetto “.
Per poi proseguire:
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“Le informazioni relative alla progettazione di un museo sono molto più complesse di quelle relative alla progettazione di un tavolo”.
…E non solo le informazioni, dovremmo aggiungere: anche le competenze e il senso dello spazio. Chipperfield ha anche riconosciuto di non avere “la particolare capacità richiesta dal design del mobile – menzionando nel discorso Mari, Morrison, Grcic – e ribadendo ancora, quasi scusandosi: “Sono un architetto”.
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Ho apprezzato e ammirato le risposte cristalline di questo gigante dell’architettura contemporanea. Dietro il suo aplomb britannico, al di là dell’indiscutibile savoir-faire, mi sembra di cogliere delle precise opinioni riguardo quanto sia difficile realizzare architettura in Italia (“soprattutto se è coinvolta la pubblica amministrazione”), cosa assolutamente innegabile, purtroppo. Parlando inoltre del futuro dei settori “in buona salute, moda e design, avverte…
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“Attenzione a non sperperare risorse…”
Siamo stati avvisati.
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Chipperfield sembra suggerire che il vento stia cambiando per il mondo del design. E aggiunge:
David Chipperfield architect“La domanda è nuova, dobbiamo tutti chiederci di quanti nuovi prodotti abbiamo davvero bisogno, dobbiamo essere più consapevoli, elaborare un’idea diversa di sviluppo. Siamo passati dal bisogno al desiderio, e il design si è spostato dalla proposta di beni necessari allo stimolo verso cose di cui non abbiamo alcun bisogno. Per questo motivo dobbiamo essere più consapevoli del ruolo del design e dei prodotti. E’ un grosso impegno per i brand, che devono valutare qualità e durata delle cose. I progetti hanno bisogno di integrità, e l’integrità c’è solo dove i progetti hanno un senso, un motivo di esistere.”
Tornando alla prima citazione… non era poi così filosofica.
Grazie, sir Chipperfield.
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(Daniela Podda)

I dieci comandamenti della Crescita Felice, un libro per il week-end e… qualche pensierino.

morace-crescita-feliceConcludiamo questa serie di post dedicata a Francesco Morace con un piccolo estratto del suo libro “Crescita Felice – Percorsi di futuro civile”, una lettura che senz’altro consigliamo.

In particolare ci sembra di grande ispirazione il decalogo con cui si conclude il libro.

  1. Crescere sulla differenza, come la vita biologica
  2. Accettare la sfida del corpo e del riconoscimento reciproco
  3. Valorizzare l’incontro unico tra luoghi e persone
  4. Generare un’etica dei legami al di là di religioni e ideologie
  5. Dare spazio al pragmatismo vitale al di là dei media
  6. Seguire le strategie felici al di là di desideri smisurati
  7. Comprendere la real life memory al di là della dimensione virtuale
  8. Coltivare la catena della fiducia sostenibile
  9. Rilanciare la visione della dimensione pubblica
  10. Riconquistare l’arte del prendere decisioni

Quali di questi princìpi siano più attinenti al nostro lavoro, può sembrare difficile, ma noi abbiamo sentito – leggendolo – diversi punti di contatto.

Di certo ci sentiamo affini all’intera tesi del libro – della presentazione del quale siamo stati partecipi sia di persona a Milano, sia online con il live twitting e lo Storify dell’evento – che ci ha fatto riflettere e arrivare a qualche considerazione.

Con un po’ di timidezza, davanti all’intelligenza del prof. Morace, proponiamo a nostra volta qualche… pensierino :-)

  • Il concetto di “Consumo felice” citato più volte anche alla presentazione, ci ricorda  l’esperienza sartoriale ermesponti dove il cliente è al centro di un’esperienza indimenticabile che spazia dalla progettazione sartoriale alla realizzazione del suo – desiderato – spazio interno da abitare
  • Il ritratto espressivo dello stile di vita di chi abita uno spazio ci fa pensare all’appuntamento virtuoso di cui al punto 3, tra luoghi e persone, e al rivoluzionario concetto di “existenz maximum” con il quale l’esperienza totalmente “custom oriented” ermesponti è perfettamente allineata
  • Anche su concetto di “genius plus” accostato a quello architettonico di “genius loci” non possiamo non notare la forte affinità con i due fondamenti di ogni nostro lavoro: il committente e la location 
  • Il “nuovo km zero” in ermesponti riguarda anche il rapporto molto stretto con il cliente che si trova a partecipare sia alla fase progettuale che a quella produttiva, secondo il metodo ermesponti
  • La fiducia sostenibile, di cui al punto 8, è quella che abbiamo la fortuna di ricevere anche noi, ogni giorno da decine di anni, da parte di committenti che si sentono parte di una relazione, più che datori di incarichi; la caratteristica principale del nostro rapporto con la clientela è infatti la continuità

A tutti un augurio di una lettura rigenerante e riflessiva, grazie a quest’ultima opera del prof, Morace!

Dal nostro canale Twitter, il 19/2/2015 live tweeting sull’evento di presentazione del libro “Crescita Felice” con Francesco Morace.

Crescita Felice di Francesco MOrace: live tweeting by ermespontiEra il 20 febbraio 2009, e il professor Morace lanciava il libro “Il Senso dell’Italia”, che dava inizio all’avventura di Italian Rennaissance e dei libri sul talento dell’impresa, che ha coinvolto anche noi di ermesponti.

Esattamente sei anni dopo, il 19 febbraio 2015 – nello stesso Salone d’Onore della Triennale di Milano –  Francesco Morace lancia un essaggio di ottimismo e speranza per il nostro paese, con un nuovo libro dal titolo che è un programma:

“Crescita Felice”
Percorsi di futuro civile
(Egea)

Vorremmo, a nostro modo, celebrare questo evento con una condivisione aperta dei concetti che presenterà Francesco Morace, attraverso il nostro canale Twitter @ermesponti, con hashtag #CrescitaFelice.

Sarà un piacere dedicare un live tweeting completo alla presentazione del libro e al dibattito che ne seguirà, a partire dalle 18 fino a fine incontro.

Appuntamento quindi online, su @ermesponti, seguendo l’hashtag #CrescitaFelice!

Ermes Ponti su "Crescita Felice" di Francesco Morace

[Video] Crescita felice: la ricetta di Francesco Morace nel suo nuovo libro, in presentazione alla Triennale di Milano il 19/2/2015.

Abbiamo tutti voglia di crescere, e di farlo in modo felice.

Se la suggestione della “decrescita felice” non vi ha mai convinto del tutto, se cercate una via sostenibile allo sviluppo economico, se pensate che il bello e il ben fatto abbiano ancora un senso in questo nostro mondo un po’ impazzito… probabilmente questo libro, dell’amico Francesco Morace, fa per voi.

Anzi: per noi :-)

Appuntamento quindi alla Triennale di Milano, giovedì 19 febbraio 2015 per la presentazione del libro “Crescita Felice” di Francesco Morace – Egea edizioni. 

Alcune chicche sul mestiere d’arte dei fratelli Santoni: la bellezza del fare artigiano che ci unisce.

Leggendo il libro “Costruttori di bellezza”, cui abbiamo accennato qualche tempo fa, abbiamo notato come molte cose, nella prassi del “fare artigiano” risultino familiari indipendentemente dal settore in cui si opera.Schermata 02-2457055 alle 09.49.10

Santoni è un’azienda artigiana del settore calzature, straordinaria per molti versi, non ultimo la sua realtà forte di 500 addetti e export in tutto il mondo.

ermesponti è un’attività del tutto diversa, dove la maestria progettuale si unisce senza soluzione di continuità con i talenti manuali degli artigiani, per realizzare interni – commerciali, residenziali, di imbarcazioni – unici al mondo, in grado di rispecchiare la specifica personalità di ogni singolo committente.

Eppure… lasciateci citare dei passi che abbiamo sentito come profondamente “nostri”:

Pag. 51
Sul tempo libero del fondatore Andrea Santoni, da giovane:

“Dalle sei in poi, finito il turno in Bruè, mi trasferivo, per arrotondare, nei piccoli laboratori artigiani. E mi fermavo fino a mezzanotte circa, per poi tornare a casa, sempre a piedi. Per un breve periodo, a 25 anni, ho anche aiutato i miei genitori a coltivare i campi”

Andrea Santoni con il fratello

Pag. 72
Sull’evoluzione tecnologica in rapporto alla manualità artigiana:

“Un tempo tutto veniva realizzato a mano. Oggi all’interno del calzaturificio sono presenti macchinari ad elevata tecnologia, ma la manovia viene tuttora spinta come si faceva in passato: a mano appunto. In Santoni si continua a lavorare, per certi aspetti, come sessant’ann fa.”

Pag. 99
Sul modo di affrontare la crisi:

“Alla domanda di un giornalista, che gli chiedeva qual era stata l’idea migliore per affrontare la crisi economica mondiale iniziata nel 2008, Giuseppe Santoni rispondeva: ‘Quella di non modificare il nostro modo di lavorare pensando alla crisi, bensì di continuare ad investire ancora di più sul know-how e la qualità. Un atteggiamento positivo che si è dimostrato vincente.'”

E’un piacere per noi conoscere più da vicino realtà artigianali di altissima eccellenza come Santoni: lo riteniamo un esempio a cui ispirare il nostro lavoro.

…e quanti ne abbiamo, in Italia? Buon lavoro a tutti!

Schermata 02-2457055 alle 09.42.20

Parlando di Mestieri d’Arte: un libro, qualche riflessione e gli auguri di ermes ponti per il 2015.

Costruttori-bellezza-santoni

Appassionati come siamo di lavoro ben fatto – quel lavoro di cui in Italia siamo maestri, in tanti campi diversi, ma sempre acccomunati da una visione completa che unisce conoscenze teoriche e sapere delle mani – abbiamo incrociato un libro che ci ha incuriosito.

Si tratta di “Costruttori di bellezza – Filosofia della calzatura maschile secondo Santoni“, volume edito da Marsilio e dedicato, appunto, all’azienda marchigiana di calzature Santoni.

In attesa di poterlo sfogliare, qualche riflessione sulla narrazione del lavoro, e un augurio che rivolgiamo – oltre che a tutto il nostro ecosistema composto di clienti, fornitori, artigiani, collaboratori, talenti e amici – anche un po’ a noi stessi.

Innanzitutto, il racconto del lavoro è sacrosanto, quanto il lavoro stesso.
Ci siamo accorti che “saper fare” è sempre più anche “far sapere”.

Secondariamente, è sempre più il caso di rendere il lavoro della aziende italiane al centro di operazioni editoriali e divulgative: un supporto indispensabile allo sviluppo della nostra economia; citiamo in questo senso due casi che ci hanno visto protagonisti: Rennaissance Link e Italian Factor.

Infine, è tempo che anche tra noi si creino dei contatti e relazioni volte non solo alle attività consuete di produzione e vendita, ma focalizzate sulla relazione e il networking.

E l’augurio?

Semplice: che tutto questo si avveri, in uno spirito di rinnovata fiducia e ritrovata competitività di un sistema – il nostro – che ha tutti ma proprio tutti i numeri per conquistare qualunque traguardo.

Un sereno Natale e un magnifico 2015 a tutti!

“Vorrei un tavolo bello, vicino al camino, dove i miei figli possano anche fare i compiti.” Storia di un tavolo quasi perfetto.

ermes ponti: tavolo wenge su misuraQuesta è una di quelle storie che ci piacciono, perché al suo interno vi troviamo le componenti che amiamo di più del nostro lavoro:

  • il rapporto diretto con il cliente
  • la possibilità di realizzare un “arrredo-immobile”, cioè non un mobile ma un arredo sartoriale, che nasce per un cliente specifico ( valore patrimoniale) e un interno specifico ( valore immobiliare).
  • la sensibilità per la bellezza e la funzionalità (utilitas-venustas, da Vitruvio in poi…)
  • l’uso intelligente delle risorse, in chiave ecologica e nel rispetto dell’ambiente, grazie all’utilizzo di materiale di riciclo
  • l’attenzione alla scelta dell’essenza, con rapporto specifico alla casa e all’uso che ne fanno i suoi abitanti
  • Ricordate la canzone che cantavamo da bambini?

Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero…

Questa volta non avremmo potuto cantarla, in quanto:

Per fare il tavolo in legno massello pregiato che vi presentiamo non è stato tagliato nemmeno un albero

La storia nasce dall’esigenza di una signora nostra cliente – la cui residenza conosciamo bene per averla arredata con soluzioni sartoriali in precedenza – che si è rivolta a noi chiedendoci un oggetto apparentemente semplice, ma dalla funzionalità ben precisa:

“Vorrei un tavolo bello, vicino al camino, dove i miei figli possano anche fare i compiti.”

E’ iniziata una sfida un po’ particolare, che ci ha visto al lavoro sia sul fronte del design, sia su quello del progetto nel suo insieme, come – del resto – facciamo sempre.

Innanzitutto, conoscendo la sensibilità sia estetica sia civica della persona in questione, abbiamo colto l’occasione di proporre una soluzione “a impatto zero”:

Il tavolo verrà realizzato solo ed esclusivamente con legno massello di piccola pezzatura rimaneggiato da altre commesse. Nessuna spesa extra per il materiale.

“Interessante”, dice la cliente.

In effetti, era l’occasione che aspettavamo per utilizzare degli scarti diTavolo su misura eremes ponti legno pregiato di vero Wengè, davvero bellissimi, che desideravamo a tutti i costi salvare dal… camino di qualcuno!

Un’idea – il riuso – che appartiene alla nostra cultura architettonica, dai muri a sacco romani ai mosaici bizantini , dal terrazzo veneziano fino alle varie tecniche di intasarsi o di legni pregiati… nulla di nuovo sotto il sole (o vicino al camino).

La sfida è stata accettata – non senza perplessità, va detto – dal nostro falegname più certosino, Alberto, al quale non sono sfuggite fin da subito sia le opportunità di creare un pezzo straordinario, sia le difficoltà della lavorazione: tempi lunghi, lavorazioni difficili, risultato incerto…

ermes-ponti-tavolo-wenge-bespoke-4

Si decide per un piano di 110×110 cm, superficie levigata, non trattata o al massimo con un velo d’olio d’agrumi spruzzato a caldo , poi  forte spessore del bordo “segacciato”, cm 5.

Uno schizzo veloce spiega l’idea, e via. Lo mettiamo insieme. Componere = Comporre,  si dice in latino.

Anche Alberto si convince:

L’effetto delle vene combinate dei diversi tipi di wenge che vanno dal nero ai vari marroni fino al bianco crea un mosaico variegato, dove ogni singolo albero racconta una storia diversa, con l’effetto di un tavolo specialissimo, perché unico.

Si disegna poi il piede – centrale, per ingombrare il meno possibile – a forma di croce di Sant’Andrea.ermes-ponti-tavolo-wenge-bespoke-2

Gli spessori sono studiati con il nostro ottonista. Il piano è pesante e servono dei fazzoletti triangolari per renderlo più stabile… anche loro vengono rivestiti in wenge, mentre il bordo di ottone brunito è lasciato a vista.

L’opera di Alberto, vista nel suo complesso, è assolutamente di alta ebanisteria.

Finito, dunque?

No: ci viene il pensiero che per fare i compiti, un tavolo rotondo può non essere il massimo, specie per quanto riguarda il disegno.

Proponiamo quindi di tagliarne una fetta: quadratura del cerchio o forse la bellezza dell’imperfezione giapponese wabi-sabi?

Comunque sia, la cliente è contenta, anche se abbiamo la sensazione che  per sapere se abbiamo davvero fatto un buon lavoro… dovremo aspettare la prossima pagella dei suoi ragazzi!

Tavolo ermesponti fatto a mano con scarti di wenge