“L’impresa del talento”; dal Festivaletteratura di Mantova alla Biennale di architettura di Venezia passando idealmente anche per Pordenone.

A Mantova, l’8 settembre, in occasione del festivaletteratura 2012, abbiamo ospitato sul palcoscenico del teatrino D’Arco, i curatori del libro “L’impresa del talento, I territori creativi delle imprese italiane” per dare voce e presenza ad un mondo -quasi sommerso- di fare impresa che non trova spazio  e possibilità di esprimere il suo positivo e concreto esempio di  modello imprenditoriale nei media tradizionali ( troppo impegnati ad alimentare le inutili polemiche politiche locali e nazionali o a mettere sotto i riflettori le più tristi e dolorose storie che purtroppo la cronaca quotidiana non ci fa mancare, o addirittura a rincorrere trionfi o fallimenti di star del calcio o dello spettacolo).

I curatori ci hanno raccontato come è nato questo bellissimo progetto di ricerca; Giovanni Lanzone ci ha raccontato i tempi in cui scrisse insieme a Francesco Morace il testo che ha dato origine a tutto : “ Verità e Bellezza” e di come la storia italiana del Rinascimento se riscoperta può darci – e ci sta ancora dando- delle piste da seguire per uscire vittoriosi dal labirinto di questa crisi con il filo di Arianna in mano. Continua a leggere

“Se vuoi fare l’architetto 
impara a fare il falegname”

Su La Stampa di oggi ho appena letto l’intervista a Wang Shu – vincitore del premio Pritzker 2012-  in occasione della sua Lectio Magistralis alla Triennale di Milano per l’inaugurazione della mostra “ from research to design – selected architects from Tongji University of Shanghai.

Fin da quando – qualche settimana fa-  appresi dell’assegnazione del Prizker all’architetto cinese Wang Shu e lessi la sua intervista sul New York Times, ebbi l’impressione di una certa affinità con alcune sue affermazioni  che oggi ritrovo confermate ancora di più in quest’ultima intervista Milanese. Continua a leggere

Il disegno architettonico è morto?

Micheal Graves, famoso architetto statunitense degli anni 70 e 80 del secolo scorso si chiede preoccupato sul New York Times il perché sia diventato di moda in certi ambienti dichiarare la morte del disegno di architettura.

Si chiede chi sia l’assassino e la risposta più semplice potrebbe essere il computer.

In realtà credo che sia ben più profonda la causa e in particolare risieda nella malattia culturale che sta stremando la disciplina della composizione architettonica; in alcuni atenei italiani – e immagino anche europei e americani- non si insegna neanche più.

Per non parlare della Storia; non quella degli storici, ma quella degli architetti che facevano il Prix de Rome con il blocco da disegno in mano.

Gli architetti sono diventati non dei pazienti e colti compositori, ma degli artisti o peggio delle archistars; creativi nel senso di creatori ex nihilo di un oggetto tridimensionale che ha perso ogni riferimento valoriale architettonico.

Io la cura ce l’avrei; non è farina del mio sacco, ma del mio professore di Composizione Architettonica all’Università di Firenze, Gian Carlo Leoncilli Massi, un “etrusco” – così lo chiamava Carlo Scarpa- colto e severo che ci ha indirizzato alla riscoperta della storia dell’architettura con il blocco e la matita in mano; il disegno è innanzitutto uno straordinario strumento conoscitivo e compositivo ( “tutto ciò che non ho disegnato, non l’ho visto” Goethe). Ci ha insegnato a cercare le radici teoriche; Vitruvio, Leon Battista Alberti, Vasari; fino ai grandi tentativi di Paul Valery (  l’Eupalinos o l’architetto) o del teorico Cesare Brandi ( Eliante o dell’architettura). Ci faceva leggere persino Dante (eravamo a Firenze), Calvino ( le sue indimenticabili otto lezioni americane), Jean Clear ( Critica alla Modernità).

Il disegno architettonico è uno strumento “inalienabile” dell’architetto; dalla prima idea figurativa su un foglio bianco – quasi una poesia- al primo atto compositivo: il disegno bidimensionale in scala; la pianta, la regina del progetto, e la sezione fino ai dettagli da cantiere disegnati in scala su un blocco per farsi intendere dalle maestranze.

Michelangelo che oltre che scultore, pittore e scrittore fu anche uno splendido architetto diceva: “l’architetto ha le seste negli occhi”. E nel suo “l’uomo artigiano” Sennet spiega eloquentemente come lo sviluppo evolutivo del cervello umano sia strettamente legato all’uso della mano.

Se potessi superare quei sei o otto giri di persone che ci separano direi a Graves di rileggere il De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti ( in latino, se possibile); l’edificio architettonico è un corpo e la definizione albertiana di armonia – la concinnitas universarum partium– è la proporzione armonica, numerica, tra le parti tanto che nulla si può togliere o aggiungere senza turbarla. In questo contesto, il disegno è il lineamentum, il profilo del corpo architettonico, il contorno, a fil di ferro, a matita 4H, diceva il mio Prof. sopracitato.

Non c’è architettura senza disegno perché il disegno è il suo contorno, la sua definizione (descriptio); forse un progetto è solo il rilievo del profilo del corpo architettonico che verrà.

www.ilpost.it/2012/09/03/il-disegno-architettonico-e-morto