Archivi del mese: July 2014
Italiani, artigiani dell’Italia del futuro. Grazie a Francesco Morace, Barbara Santoro e a tutti gli intervenuti alla presentazione romana di “Italian Factor”.
La presentazione del libro “Italian Factor” di Francesco Morace e Barbara Santoro alla Camera dei Deputati a Roma é stata davvero interessante.
É stato un think- tank focalizzato sul “moltiplicare il valore del nostro paese”, condotto da un simpaticissimo e coinvolgente Giovanni Aversa (mantovano).
Il progetto “Italian Factor” nasce dalla passione di Barbara Santoro che, come imprenditrice e coach , italiana per nascita, canadese per adozione, orgogliosa della sua italianità sta cercando con l’aiuto di Francesco Morace di fare qualcosa per i valori del ns paese.
Un bel modo di farlo é anche questo: dare esempi concreti, per ragionare sui paradigmi del cambiamento.
Barbara ha chiesto a tutti di contribuire con “the missing ingredient” per la ricetta Italia: un hashtag (la parola chiave, così definita su Twitter dove si usa con il segno # davanti)… a iniziare dal suo: il #coraggiodiosare.
Secondo Barbara l’Italia deve far leva sui suoi punti di forza e venderli nel mondo con più convinzione.
Il suo approccio è riassunto in un esempio ideale: Eataly di Oscar Farinetti.
É stato geniale costruire una piattaforma distributiva che da dignità e valore alle piccole aziende e contemporaneamente al sistema paese del Made in italy.
Ermete Realacci ( parlamentare nonché presidente di Symbola, fondazione per le qualità italiane) ha proposto #onore.
Sostenendo che l’Italia può vincere la crisi affrontandola con le virtù autentiche della propria identità; innovazione, qualità e bellezza.
Tito Di Maggio, ex-presidente del distretto dell’imbottito della Murgia alla sua prima legislatura da senatore, ha parlato chiaramente di inadeguatezza della classe politica italiana rispetto alle necessità dell’impresa, ma poi ha suggerito un incoraggiante #nihildifficilevolent… sopratutto per chi fa impresa Sud.
Maria Sebregondi, la “mamma di Moleskine” ha suggerito #doittogether intravedendo nello sharing tra le persone una possibile via per il futuro delle ns aziende.
Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso, é stato il più audace: #nuovoevo.
I tempi sono maturi per promuovere le eccellenze italiane e sopratutto il turismo al quale é legato il tutto il settore food e la manifattura.
Valeria Mangani, vicepresidente di Altagamma Roma: #infinitepossibilities per sottolineare che il nuovo lusso é inside-out: bellezza dell’human value che viene espresso anche da tutto ciò che lo riconosce e lo esprime; dall’abito su misura all’arredo sartoriale.
L’intervento più coraggioso é forse stato quello in videoconferenza di Francesco Casoli di Elica; #passione umiltá e aggregazione: per vincere la partita bisogna crederci!
Anche noi di ermesponti abbiamo suggerito la un concetto, che viene dal Rinascimento e – modestamente – anche dalla nostra azienda: #endtoendprocess.
Secondo noi, l’eccellenza viene da tutto il processo, dalla fase creativa a quella manifatturiera alla comunicazione e alla vendita.
Non basta avere buone idee, realizzarne i prototipi, se non si é in grado di gestirle fino a metterle in pratica.
É un peccato vedere idee e prototipi italiani svenduti a imprese estere che fanno crescere i loro PIL con i ns talenti.
L’unico che non ha espresso un hashtag é stato proprio Francesco.
Eppure ha ribadito con forza la sua idea che emerge chiaramente anche dal libro:
Ognuno di noi italiani può e deve fare come un artigiano davanti al suo lavoro (e forse alla sua coscienza): con passione e dedizione farlo nel miglior modo possibile solo per il gusto e la soddisfazione di un lavoro ben fatto.
Se ci riusciremo, senza lamentarci di ciò ciò che non possiamo cambiare e insegneremo questo ai nostri figli avremo fatto già tanto per il nostro paese.
Italiani, artigiani del futuro dell’Italia; potremmo felicemente concludere, cullati dal canto di Pavarotti che ha concluso l’incontro.
Fundamentals: il caso molto concreto del padiglione Germania alla Biennale Architettura di Venezia
Come molti sanno, la 14ª Biennale di Architettura di Venezia si intitola “Fundamentals, Absorbing Modernity 1914-2014” e coinvolge 65 Partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico della città.
Ermesponti ha contribuito a uno di questi padiglioni, il padiglione Germania, come partner per gli interni sartoriali del progetto più concretamente architettonico di questa biennale firmato dallo studio Ciriacidis & Lehnerer architekten.
Il Bungalow Germania è stato giudicato uno dei 10 migliori padiglioni, ma, per noi architetti, il suo punto di forza è un altro: è sicuramente il padiglione più “leggibile” di tutta la Biennale.
Il significato è chiarissimo, è l’unico che parla in modo univoco il linguaggio specifico dell’Architettura: lo spazio in 4 dimensioni.
Due edifici in scala 1:1 sono letteralmente incastrati uno dentro l’altro: il vecchio padiglione nazista degli anni ’30 e il miesiano bungalow interamente vetrato che il secondo cancelliere tedesco ha fatto costruire negli anni ’60.
Non c’è bisogno di nessuna mappa informativa né di alcuna didascalia per comprendere 100 anni di storia tedesca; basta vivere l’esperienza reale di questo spazio e capire da soli!
Non è necessario essere un architetto o un critico d’arte; i nostri cinque sensi sono più che sufficienti per sentire e capire lo specifico linguaggio dello spazio architettonico.
Questa semplicità è assolutamente rivoluzionaria al giorno d’oggi se pensate che ogni pezzo d’arte contemporanea ha bisogno di pagine e pagine di spiegazioni teoriche per trovare una sua giustificazione.
Davvero quindi è possibile “assorbire la modernità” (“absorbing modernity” come recita il titolo) del Kanzler Bungalow contenuto all’interno del Padiglione Germania.
L’umanista, architetto e filosofo italiano Leon Battista Alberti chiamava questa attitudine a comprendere meglio le cose attraverso il confronto diretto tra le stesse “cognitione per comparatione”.
Questo discorso è ancora più valido per lo spazio architettonico interno.
In sintesi è quello che Adolf Loos chiamava “Raumplan”; come esseri umani, siamo naturalmente strutturati per percepire lo spazio tridimensionale, a un livello interiore molto profondo.
Ogni salto dimensionale, ogni cambiamento viene sentito come un’emozione spaziale sottile.
A mio parere questo è quello che succede all’interno del padiglione tedesco: lo si può percepire chiaramente e – quasi letteralmente – “assorbire” e non sarà facile dimenticarlo.
Con tutta sincerità ho già dimenticato chi riceverà il Leone d’oro della giuria quest’anno… ma non potrò mai dimenticare l’emozione spaziale che mi hanno dato questi due edifici incastrati l’uno dentro l’altro!
Andate a Venezia e scriveteci la vostra opinione, non vediamo l’ora di leggerla!
Interni e architettura? Una “Relazione complicata”. Considerazioni dopo la conferenza di Alberto Campo Baeza.
Quando Facebook chiede il tipo di relazione sentimentale, tra le opzioni troviamo anche…
“Relazione complicata”.
Forse è proprio così che dovremmo definire la relazione attuale tra architettura e interni.
Ma perché questa relazione è diventata così complicata?
A me sembra che l’architettura contemporanea si disinteressi totalmente degli interni.
La maggior parte degli architetti si comportano come se gli spazi interni siano solo qualcosa che non li riguarda; un vuoto che alla fine verrà riempito di mobili.
Il divario tra architettura e interni rimanda a un’altra relazione complicata: quella tra interni e design industriale di cui abbiamo avuto modo di parlare poco tempo fa… ricordate il post “La differenza tra design e architettura: design-by o disegnato solo per te?”).
I punti di contatto sono più di uno e di un certo interesse.
L’architettura contemporanea mette molta enfasi sulle archistar, così come il design industriale sembra interessato solo ai più famosi designer e alle grandi marche.
Entrambi questi approcci posso essere definiti come “design by”.
Entrambi seguono le regole della moda più di quelle dettate dall’arte di costruire.
Alberto Campo Baeza – uno dei più famosi architetti Spagnoli e Professore di Architettura – ha tenuto una bella conferenza a Mantova qualche settimana fa all’interno della chiesa di San Sebastiano una delle più importanti chiese del Rinascimento, costruita seguendo i disegni dell’architetto e umanista rinascimentale Leon Battista Alberti.
La conferenza è stata i grande impatto e mi ha fatto pensare al ruolo degli interni nell’architettura contemporanea.
Naturalmente mi sono piaciuti molto i bellissimi progetti che Baeza ha presentato nelle sue slide e ho particolarmente apprezzato il forte legame tra i principi della sua architettura e i diversi modi e contesti in cui li ha applicati.
Mi trovo perfettamente d’accordo con il suo pensiero riguardo l’importanza fondamentale del contesto in architettura; è ciò che da sempre siamo abituarti a definire “Genius-Loci”, come prima e fondamentale condizione per un nuovo progetto di architettura.
Inoltre penso che sia veramente un ottimo docente: la sua lezione in italiano con quel bel accento spagnolo è stata fantastica!
Eppure, dal mio – forse troppo specifico – punto di vista, sento che c’è ancora qualcosa che manca in questo tipo di approccio.
Baeza e i suoi bravissimi colleghi – figli del Movimento Moderno e dell’approccio Minimalista – sono abituati a progettare bellissimi edifici bianchi affacciati sulle piazze dei vecchi centri delle città spagnole o portoghesi.
Oppure splendide case affacciate sul mare.
Sinceramente ho pensato: sembrano tutti dei templi greci!
E ciò che più mi ha sorpreso è la conferma di Baeza stesso che riconosce il concetto Greco di “temenos” come uno dei loro modelli più significativi!
Ebbene,in estrema sintesi; nel lungo percorso della storia dell’architettura occidentale c’è una netta divisione che corrisponde alla nascita dello spazio architettonico. Scusate se è poco.
Mentre l’architettura greca è sempre stata incentrata più sul rapporto tra edifico architettonico e paesaggio, con l’architettura romana il protagonista dell’edifico architettonico diventa l’uomo.
Con l’architettura romana e in particolare con l’architettura del periodo tardo latino, nasce il concetto stesso di spazio interno.
Con il Rinascimento poi, la centralità dell’uomo viene riscoperta -e forse rafforzata da una maggiore consapevolezza- non solo nell’architettura, ma anche nelle altre arti.
Neanche i più rivoluzionari padri del movimento moderno lo hanno mai negato.
Quindi, perché ora dovremmo farlo noi?