Sui media e nei convegni (ieri a Milano, ad esempio) si inizia a parlare di “Back to Italy”.
Si ritorna a produrre in Italia.
Qualche riflessione da chi l’Italia non l’ha mai lasciata, perché ritiene un asset strategico lavorare nel proprio territorio di provenienza.
1.
Delocalizzazione = Devalorizzazione
Con il miraggio (a volte mai concretizzato) di spendere meno si è delocalizzato senza criterio.
Staccando la mente che ha creato un progetto dalla mano che lo realizza si sono prodotti mostri, nel senso qualitativo e culturale del termine.
2.
Il vero Made in Italy è fatto con la testa e le mani degli italiani
Il fortissimo valore culturale della nostra popolazione nasce da un’integrazione delle funzioni intellettuali e manuali, com’è nella grande tradizione del Rinasicmento.
La separazione tra “chi pensa” e “chi fa”, tipica delle delocalizzazioni, spezza in modo irreparabile il cuore del valore intrinseco ai migliori prodotti nazionali, per giunta producendo ruoli inutili e costosi (chi “controlla” ad esempio)
Noi, nel nostro piccolo, abbiamo sempre creduto nella nostra gente e nell’enorme valore professionale che sa esprimere.
3.
Stare “local” significa riduzione delle filiere (e dei costi)
Ai molti che hanno scelto la strada di andare a produrre lontano, ermesponti propone l’inverso: concentrare ideazione, progettazione e realizzazione.
La filiera corta, non dimentichiamolo, accorcia la catena dei centri di costo, ed esalta la qualità specifica del lavoro in quanto espressione di un nucleo forte, in grado di costruire sulla propria esperienza.
4.
Più alta la qualità, più importante il coinvolgimento intellettuale a tutti i livelli
Su un prodotto di alta qualità totalmente bespoke (o custom o artigianale) non si può prescindere dalla qualità “intellettuale” della persona che lo realizza.
Se questa, che opera con le mani, è abituata ad usare anche l’intelligenza e ad applicarla nel lavoro (certo non quello che accade nelle filiere “fordiste” della produzioni delocalizzate), anche lei è coinvolta nella definizione dell’oggetto da produrre, nel suo miglioramento continuo.
E’ un modello che appartiene in tutto e per tutto all’Italia ed ha portato ai capolavori che ci hanno resi noti nel mondo.
Per questo gli italiani in Italia sono in grado di rendere una produzione nazionale, nonostante i costi alti, conveniente ed appagante.
5.
Responsabilità sociale è anche questo
Le aziende non hanno solo responsabilità verso se stesse e il proprio conto economico: secondo noi la relazione con il territorio può e deve far parte di una dimensione imprenditoriale avanzata.
Il lavoro crea ricchezza, anche di conoscenza e cultura, che un’impresa deve saper reinterpretare e riproporre al mercato in un circolo virtuoso di accrescimento ed evoluzione costruttiva.
6.
Il consumatore è autore dei prodotti
Nell’ottica del nuovo consum-autore, come lo definisce Francesco Morace, colui che compra non è più figura dissociata dall’ambiente, ma è protagonista culturale della filiera produttiva.
7.
Acquisto = identità
Ognuno di noi è stanco di essere solo una carta di credito, c’è voglia di tornare ad essere uomini e donne che interagiscono con i prodotti in modo sensato…
Il che significa anche riconoscere una produzione di una cultura amica, magari vicina a casa o comunque nota.