E’ passato qualche tempo da quando Dario Di Vico dedicò a Paolo Ponti una pagina della sua rubrica Buone Notizie su Corriere.it con richiamo in prima pagina…
La buona notizia era che un giovane architetto italiano aveva trovato il modo di snellire il processo organizzativo e produttivo del laboratorio artigiano di famiglia e portarlo ad essere competitivo nel mercato globale.
L’articolo era molto esplicito con tanto di foto e riferimenti precisi.
Su La Stampa del 10/9/2015 invece l’articolo di Giacomo Galeazzi è sulla rubrica “Giovani e Università” e si parla genericamente di “Architettura” snocciolando numeri e statistiche accompagnati da qualche considerazione del presidente del consiglio degli architetti – Leopoldo Freyrie – e del presidente dell’ordine degli architetti di Milano-Valeria Bottelli.
.
È lecito chiedere perché proprio la foto di Paolo Ponti e Daniela Podda al loro tavolo di lavoro con i disegni originali di Gio Ponti alla parete che fanno da fondale?
Verrebbe da rispondere che l’avranno scelta per la bellezza della foto in sé; merito questo del bravo amico Martino Lombezzi (Contrasto) che l’ha scattata.
Eppure il titolo da solo insospettisce non poco:
.
“Un lavoro in team, ora il progettista diventa imprenditore”
Quale migliore descrizione del lavoro dell’architetto Paolo Ponti che ha scelto di risollevare le sorti del vecchio laboratorio artigiano ereditato dal padre e dal nonno e di trasformarlo in una moderna azienda che esporta interni sartoriali ovunque nel mondo?
.
È uno studio sui generis il nostro; uno studio di architettura dentro una fabbrica di arredi.
.
Uno studio che – come insegna lo stesso Gio Ponti in “Amate l’architettura” – si fa carico di gestire l’intero processo ideativo e produttivo senza soluzione di continuità .
.
Partiamo dal foglio bianco e disegniamo interni sartoriali (“bespoke interiors” recita il nostro claim) per negozi, case e persino yacht, seguendo tutte le fasi fino alla gestione del cantiere e alla produzione e l’installazione finale.
.
Per garantire l’eccellenza del risultato a costi e in tempi competitivi, infatti, questa é la sola strada ed é stata già percorsa da secoli dalle botteghe del nostro Rinascimento e riscoperta da personaggi del calibro di Steve Jobs nel suo voler controllare hardware e software insieme cioè – come noi in campi diversi – l’intero processo” end-to-end”.
.
Ma ritornando all’articolo, sembrano troppe le coincidenze…
.
– quando parla del Made-in-Italy come valore da esportare contro la flessione del vecchio mattone nel mercato
.
– quando dice che ci sono giovani architetti che, con spirito d’iniziativa, lucidità e consapevolezza, guardano alla globalizzazione come un’occasione e al mondo “come vocazione”
.
– quando ci racconta di giovani che spostano la loro professionalità e il marchio “ITALIAN style” all’estero, anche con frequenti periodi di lavoro all’estero (ma rinunciando alla tentazione di emigrare del tutto)
.
– quando parla del rapporto collaborativo tra aziende e professionisti dello stesso territorio (come non pensare alla relazione tra il nostro studio e Corneliani, per esempio)
.
Tutti questi riferimenti non sembrano puramente casuali. Ma perché pur fotografati non siamo stati citati?
.
L’articolo infine, dopo aver constatato che in Italia ci sono troppi micro-studi e che un buon 35% sono in mano a quarantenni come noi, chiude così:
.
“Il futuro è il mondo, la carta vincente é l’elasticità. Senza sogni, non si creano ponti”.
Niente di più vero.
E allora diciamolo ai giovani studenti di architettura che anche il difficile sogno di Paolo Ponti è oggi realtà; progettista ed imprenditore insieme, lavora in team con i suoi architetti e i suoi falegnami per disegnare e costruire interni sartoriali che esportano il meglio dell’eccellenza del Made in Italy nel mercato globale per un target di cliente molto particolare; chi cerca l’unicità.
.
–> Clicca qui
per scaricare l’articolo de “La Stampa” in formato PDF