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Daniela Podda e Paolo Ponti (Podda Ponti Architetti) portano Andrea Mantegna a Shanghai.

Siamo orgogliosi di affermare che da oggi Mantova non è così lontana da Shanghai.

Abbiamo costruito un nesso invisibile tra uno dei nostri affreschi più famosi, la “Camera Picta” nella parte più antica del centro storico di Mantova, e il nuovo negozio-bandiera Corneliani in Nanjing road, la principale via della moda di Shanghai.

Corneliani, uno dei nostri più importanti clienti business, ci ha chiesto di progettare il suo nuovo flagship cinese e le sue facciate – quella interna e quella esterna- per uno dei più famosi centri commerciali del lusso: il Citic Square.

Per gli interni abbiamo mantenuto una sostanziale continuità di disegno e materiali con il flagship di Montenapoleone a  Milano (che abbiamo progettato e realizzato nel 2010). Ma per la facciata ci sembrava che il Brand mantovano avesse bisogno di una nuova firma, un segno speciale che riuscisse ad esprimere l’identità del brand mantovano di moda maschile e i suoi valori di qualità made-in-italy e di alta sartoria su misura.

Come al solito, quando dobbiamo creare qualcosa di veramente nuovo, lo inventiamo ( in lat. invenire significa trovare) partendo dalla nostra Storia. E’ stato quasi come se la matita si muovesse da sola disegnando su un foglio bianco uno dei motivi decorativi più riconoscibili del Rinascimento Italiano: Mantegna lo creò per gli affreschi dei muri della camera picta ( che rappresenta la famiglia Gonzaga) e subito diventò uno dei motivi decorativi ad affresco più usati sulle facciate dei palazzi nobiliari del periodo.

Naturalmente Mantegna dipinse un motivo marmoreo; noi abbiamo trasformato questa decorazione in anelli di metallo microtraforato con speciali corpi illuminanti LED circolari che riflettono la luce sulla superficie retrostante in marmo a scacchiera. Mi vengono in mente le facciate marmoree delle cattedrali del rinascimento italiano e le loro grandi porte e cancellate bronzee decorate.

L’effetto è decisamente scultoreo, elegante ma maschile; esprime i valori del marchio Corneliani.

Lo si può vedere se si ha occasione di camminare per Nanjing Road oppure si possono trovare alcune foto sul nuovo sito Poddaponti: www.poddapontiarchitetti.it

Oppure  leggere la storia per intero del nuovo flagship Corneliani; www.corneliani.it

“Se vuoi fare l’architetto 
impara a fare il falegname”

Su La Stampa di oggi ho appena letto l’intervista a Wang Shu – vincitore del premio Pritzker 2012-  in occasione della sua Lectio Magistralis alla Triennale di Milano per l’inaugurazione della mostra “ from research to design – selected architects from Tongji University of Shanghai.

Fin da quando – qualche settimana fa-  appresi dell’assegnazione del Prizker all’architetto cinese Wang Shu e lessi la sua intervista sul New York Times, ebbi l’impressione di una certa affinità con alcune sue affermazioni  che oggi ritrovo confermate ancora di più in quest’ultima intervista Milanese. Continua a leggere

Il disegno architettonico è morto?

Micheal Graves, famoso architetto statunitense degli anni 70 e 80 del secolo scorso si chiede preoccupato sul New York Times il perché sia diventato di moda in certi ambienti dichiarare la morte del disegno di architettura.

Si chiede chi sia l’assassino e la risposta più semplice potrebbe essere il computer.

In realtà credo che sia ben più profonda la causa e in particolare risieda nella malattia culturale che sta stremando la disciplina della composizione architettonica; in alcuni atenei italiani – e immagino anche europei e americani- non si insegna neanche più.

Per non parlare della Storia; non quella degli storici, ma quella degli architetti che facevano il Prix de Rome con il blocco da disegno in mano.

Gli architetti sono diventati non dei pazienti e colti compositori, ma degli artisti o peggio delle archistars; creativi nel senso di creatori ex nihilo di un oggetto tridimensionale che ha perso ogni riferimento valoriale architettonico.

Io la cura ce l’avrei; non è farina del mio sacco, ma del mio professore di Composizione Architettonica all’Università di Firenze, Gian Carlo Leoncilli Massi, un “etrusco” – così lo chiamava Carlo Scarpa- colto e severo che ci ha indirizzato alla riscoperta della storia dell’architettura con il blocco e la matita in mano; il disegno è innanzitutto uno straordinario strumento conoscitivo e compositivo ( “tutto ciò che non ho disegnato, non l’ho visto” Goethe). Ci ha insegnato a cercare le radici teoriche; Vitruvio, Leon Battista Alberti, Vasari; fino ai grandi tentativi di Paul Valery (  l’Eupalinos o l’architetto) o del teorico Cesare Brandi ( Eliante o dell’architettura). Ci faceva leggere persino Dante (eravamo a Firenze), Calvino ( le sue indimenticabili otto lezioni americane), Jean Clear ( Critica alla Modernità).

Il disegno architettonico è uno strumento “inalienabile” dell’architetto; dalla prima idea figurativa su un foglio bianco – quasi una poesia- al primo atto compositivo: il disegno bidimensionale in scala; la pianta, la regina del progetto, e la sezione fino ai dettagli da cantiere disegnati in scala su un blocco per farsi intendere dalle maestranze.

Michelangelo che oltre che scultore, pittore e scrittore fu anche uno splendido architetto diceva: “l’architetto ha le seste negli occhi”. E nel suo “l’uomo artigiano” Sennet spiega eloquentemente come lo sviluppo evolutivo del cervello umano sia strettamente legato all’uso della mano.

Se potessi superare quei sei o otto giri di persone che ci separano direi a Graves di rileggere il De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti ( in latino, se possibile); l’edificio architettonico è un corpo e la definizione albertiana di armonia – la concinnitas universarum partium– è la proporzione armonica, numerica, tra le parti tanto che nulla si può togliere o aggiungere senza turbarla. In questo contesto, il disegno è il lineamentum, il profilo del corpo architettonico, il contorno, a fil di ferro, a matita 4H, diceva il mio Prof. sopracitato.

Non c’è architettura senza disegno perché il disegno è il suo contorno, la sua definizione (descriptio); forse un progetto è solo il rilievo del profilo del corpo architettonico che verrà.

www.ilpost.it/2012/09/03/il-disegno-architettonico-e-morto

Il Leone D’oro alla carriera della 13° Mostra Internazionale di Architettura ad Alvaro Siza.

Poddaponti architetti ed ermesponti -dall’ultima fila- applaudono all’attribuzione del Leone d’oro alla carriera della 13° Mostra internazionale di architettura ad Alvaro Siza.

Architetto portoghese amato fin dalla nostra prima formazione universitaria; indimenticabile lo storico numero monografico di El Croquis 68/69 a lui dedicato nel 1994 e la nostra prima fuga in auto verso la vicina Weil am Rhein per visitare una sua architettura dal vero a confronto con le firme d’architettura che la Vitra aveva raccolto nella sua cittadella aziendale: dall’inglese Nicholas Grimshaw, al famosissimo Tadao Ando, alla giovane Zaha Hadid fino alla prima opera europea del californiano Frank Gehry e qualche intervento interior del nostro bravissimo Antonio Citterio.

Quasi tutte archistars riconosciute e famose anche oggi per le loro opere caratterizzate da uno stile fortemente riconoscibile e da una ricerca formale quasi al limite tra l’architettura e le altre discipline artistiche e intellettuali.

Alvaro Siza no; fin dall’inizio, dichiaratamente e manifestamente architetto di un‘architettura rigorosa e pulita, senza fronzoli, espressione di una pratica professionale e di una cultura formativa integralmente incentrate sui valori della pura architettura.
Molto bello il testo di motivazione del Cda:  “Protetto dalla sua collocazione isolata emana una saggezza universale”.

Alvaro Siza propone con il suo esempio un modello di architetto molto diverso da quello imperante nel mondo delle archistar dei progetti eclatanti e pubblicitari; una coerenza formale e un’etica professionale che nascono da una cultura architettonica profondamente consapevole e da un’identità riconosciuta come punto di vista individuale, ma anche come punto di partenza per instaurare un dialogo con il resto del mondo, con le più diverse identità che questo mondo globalizzato ci propone ogni giorno.

I nostri più sentiti complimenti ad Alvaro Siza per questo, ma anche a David Chipperfield, direttore di questa 13° Biennale D’architettura, che ha proposto la sua candidatura e che – a partire dal titolo “Common Ground”- sta dando un’impostazione nuova a questa manifestazione, dichiaratamente contro la spinta individualistica degli ultimi ventanni e in favore del riconoscimento di una piattaforma comune dell’architettura contemporanea nell’eredità dell’architettura del XX secolo.

E chi può dire che Siza non abbia ben assimilato la lezione di Giuseppe Terragni o di Adolf Loos?


Common Ground (Venezia, Giardini e Arsenale, 29 agosto – 25 novembre 2012)
È stato attribuito all’architetto portoghese Álvaro Siza Vieira il Leone d’oro alla carriera della 13. Mostra Internazionale di Architettura – Common Ground (Venezia, Giardini e Arsenale, 29 agosto – 25 novembre 2012). La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore David Chipperfield, con la seguente motivazione: “Protetto dalla sua collocazione isolata emana una saggezza universale”.


Il mio primo post.

Da almeno 34 anni scrivo a mano; disegno a mano libera da ancor prima. Adoro la matita – il lapis come dicono a Firenze- quella di legno, da temperare e quelle colorate: conservo i trucioli in barattoli di vetro. Mi piace anche il portamina dallo 0.7  fino al 0.3 per il disegno in scala. Mi piacciono i rapidi – quanti ricordi all’università – i roller, persino le biro bic nere.

Ma le stilografiche sono le mie preferite; l’inchiostro seppia.

Adoro la carta; di tutte le grammature, a seconda degli usi dal foglio di velina al quadrettato standard fino alla carte pregiate; indimenticabili le nostre pineider fiorentine.

Alcuni dei miei innumerevoli taccuini

Alcuni dei miei innumerevoli taccuini

Il mio primo blocco schizzi serio lo comprai ad un prezzo esorbitante in vecchie lire -che ho rimosso-  nella storica cartoleria Donatello in via dei servi a Firenze: dentro i miei primi pensieri architettonici a matita;  i miei primi rilievi; le mie prime bozze composizione architettonica;  principalmente Brunelleschi, ma poi anche  Michelangelo, Alberti.

Negli anni la dimensione divenne sempre più piccola, quasi tascabile, da portare sempre con sé; in giro per mostre, biblioteche, viaggi. E la scelta della manifattura sempre più ricercata;  come per esempio quelli artigianali della cartoleria Rossi di via Fernelli a Mantova o quelli con la copertina di cuoio di piazza signoria a Firenze.

Il più bello; fatto a mano dal mio Paolo; copertina di legno di ebano, rilegato con una semplice spiralina  nera a contrasto.

L’ultimo è un field notes rosso regalato da amici con pacchetto di carta velina e margheritine lilla raccolte in giardino; a quadretti; meglio così disegno in scala e scrivo dritto.

Da oggi scrivo diverso senza né carta né inchiostro; scrivo il mio primo post qui con il tocco leggero del tastierino dell’iPad perfettamente proporzionato alle mie piccole mani.

È la prima pagina del nostro notes blog, ma spero di non contare mai la mia ultima pagina di carta; ha ragione field notes: “I’m not writing down to remember it later, I’m writing it down to remember it now”.

Io non scrivo dei “memento”, ma solo per ricordarmi che “scripta manent”.

E non crediate che gli scritti rimangano sulla carta; ti rimangono dentro l’invisibile collegamento  mano- testa.

 ” ciò che non ho disegnato, non l’ho visto” . Goethe.