I media si riferiscono spesso al Lusso come a una delle manie del millennio.
E giù: diagrammi (le capitali del lusso, inteso cioè come spesa per beni superflui), definizione del mercato annuale dedicato (17 miliardi) e dei trend di crescita (400 milioni di persone i consumer in crescita continua tra i 35 e i 40 anni), studi e ricerche finanziati da Altagamma e Boston Consulting Group; e poi persino le etichette per categorie di consumatori del mercato globale dei beni superflui o del lusso : i socialwearer, gli experiencers, gli absolute luxerer.
Su questi ultimi leggo: “La preda (si badi bene: preda) più ambita tra le aziende di alta gamma, è l’absolute luxurer ricco, raffinato, elegante. Appartiene all’elite europea e agli Happy Few dei mercati emergenti, spende per abiti e orologi, ma anche per viaggi e vini, con particolare attenzione a tutto ciò che è unico e customizzato. Genera un mercato che vale miliardi di euro all’anno con una spesa di 30mila euro pro capite”.
Hanno persino inventato un “Luxury barometer” (strumento che misura la propensione della popolazione ricca del pianeta alla spesa futura) che rileva non solo un’inversione di tendenza globale (dal -5% del 2014 scorso anno al +15% del 2015), ma anche -fortunatamente – la crescita dell’interesse dei consumatori nei confronti della sostenibilità sociale ed ambientale (dall’8% al 13%) sopratutto in Europa e Stati Uniti (evidentemente mercati più maturi) che si va ad aggiungere agli altri valori determinanti la scelta di un prodotto; qualità, artigianalità, esclusività.
Tutti concetti e valori positivi – si intende – soprattutto per il nostro amatissimo Made in Italy che, nonostante la dolorosa contrazione del mercato interno, ancora resiste come uno dei maggiori esportatori di questi beni definiti di lusso.
Ma poi penso, quid tum?
Che cosa è davvero il lusso?
Possiamo accettare – noi italiani – che il lusso sia ridotto alla definizione di beni di consumo superflui? Possiamo accettare noi mercati maturi e noi società democratiche che il lusso sia legato al mero concetto di esclusività e al prezzo (e spesso svincolato dal valore vero) come suggeriscono oramai tutte le fonti e tutti i media?
Mi viene in aiuto niente di meno che il maestro Riccardo Muti con una sua bella intervista : “Il lusso é un sussurro” rilasciata a Nicoletta Polla Mattiot. Mi sembra che suoni meglio.
Incuriosita, la leggo anche sul suo profilo ufficiale di Facebook dove è intitolata: “Il lusso di essere italiano”. Suona ancora meglio, Maestro.
Qui il lusso è slegato da numeri e valori di mercato (anche se poi produce anche quelli) e si lega a valori i materiali come quelli dell’anima:
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“Tutti dovrebbero studiare musica (ndr: o architettura, che nel rinascimento era la stessa cosa) ingentilisce l’animo. Si andrebbe verso una società migliore”.
Concordo pienamente. E cosa cerca il Maestro nelle composizioni di musica (o di architettura, aggiungo io)?
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“Ciò che non si vede. Ciò che sta oltre. Mozart diceva che la musica più profonda è in mezzo, tra i suoni, e non nei suoni”.
(Così come l’architettura non è nelle colonne ma negli spazi tra le colonne, non nei muri ma negli spazi delimitati dai muri).
E ancora, il maestro esprime l’orgoglio di essere italiano: ” Essere nato in Italia é un privilegio. Sono orgoglioso del mio passaporto e non ne vorrei uno diverso”. Nonostante tutto per le stesse ragioni, non si può non condividere anche questo.
Poi continua:”Come musicista , di fronte all’orchestra, riesco a seguire le linee musicali di 120 persone che suonano insieme, cercandosi, avvolgendosi l’un l’altra, pur mantenendo la propria identità. Le posso seguire tutte e le sento tutte diverse, ma ognuna concorda verso un fine comune che é il bello”.
(Niente di diverso dalla bellezza architettonica definita come Concinnitas universarum partium, tale che niente si possa aggiungere o togliere senza turbare il suo equilibrio).
E poi conclude:
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“C’é un lusso meraviglioso che regala la musica (ndr. ‘regala’, gratis, for free..); intensità nella delicatezza, quel saper suonare piano e intenso, a cui invitava Toscanini. É anche un modo di vivere. Sentire la semplice, abissale differenza che passa fra urlare , “ti amo” o sussurrarlo”.
Questa definizione è commovente.
Il lusso dunque non può essere definito come produzione e consumo di beni superflui. Il lusso è essenziale come la musica:
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“Penso che la musica non possa essere un privilegio di pochi ma un diritto di tutti è che sia un dovere dello stato insegnarla”
“Penso che la musica non possa essere un privilegio di pochi ma un diritto di tutti è che sia un dovere dello stato insegnarla”
sostiene il Maestro Muti. Ma non si può possedere: “Nessuno possiede la musica”.
Il lusso dunque è innanzitutto un bene di tipo immateriale, culturale, quasi spirituale, oserei dire. È quel valore inestimabile che ha plasmato lo spirito della nostra civiltà e che si è materializzato nelle forme di eccellenza della nostra arte, musica, architettura, letteratura.
Cerchiamo pure di definirlo, ma sfugge; più che una mania, è ” un sussurro”. Tutti lo possono sentire (la sua vocazione è democratica), ma in realtà pochi lo sentono veramente perché non é nelle cose (come la musica non é tra le note), ma tra le cose, oltre le cose. Il lusso è un esperienza incommensurabile.