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Tre domande a Francesco Morace, co-autore di “Italian Factor”.

Francesco Morace

Seguiamo da tempo, con attenzione e partecipazione l’importante lavoro del sociologo Francesco Morace, di cui abbiamo già parlato in varie occasioni.

Un evento di particolare interesse è stato la presentazione del suo libro – scritto a quattro mani con Barbara Santoro“Italian Factor” presso la Camera dei Deputati a Roma, a luglio.

Avendo partecipato direttamente all’evento, abbiamo voluto porre qualche domanda sia a Barbara Santoro (vedi qui l’intervista) sia al professor Morace, a partire dalla sua iniziativa “The Rennaissance Link” che avemmo il piacere di condividere tempo fa.

ermes ponti – The Renaissance Link e Italian Factor: due momenti di uno stesso percorso culturale?

Noi, come sai, non perdiamo nessuno dei tuoi passaggi…

Francesco Morace – Prima ancora di Renaissance Link il mio percorso culturale sull’Italia si è avviato con due libri: Italian Ways del 2003 e Il senso dell’Italia del 2008 in cui si ponevano le basi di un Rinascimento dell’Italia partendo dalle qualità inespresse e dalla scarsa consapevolezza delle nostre unicità.

Con Renaissance Link è stata lanciata l’idea di un Associazione che si occupasse di questi temi creando opinione presso le aziende e le istituzioni.

Dopo 4 anni di attività, 50 presentazioni in tutta Italia e 3 libro su Verità e Bellezza, il Talento dell’Impresa e l’Impresa del Talento, abbiamo valutato che l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica fosse stato raggiunto e abbiamo sciolto l’Associazione per continuare ciascuno liberamente con la propria missione di rafforzare il progetto nelle sedi più adeguate.

Anche per questo quando Barbara mi ha chiesto di contribuire al progetto Italian Factor ho accettato con entusiasmo.

ermes ponti – Giustamente porti, nei tuoi interventi, gli esempi di eccellenze.

Un consiglio per tutte le PMI che operano nella media del mercato, senza punte di eccellenza, ma senza nemmeno tradire il “buon mestiere”?

Siamo convinti che tra le 120mila fabbriche chiuse negli ultimi tempi vene fossero di meritevoli, al di là dell’eccellenza, che ne pensi?

Francesco Morace – A questo proposito ti segnalo un contributo che chiarisce la differenza tra Lusso ed Eccellenza: il “buon mestiere” fa parte della cultura dell’eccellenza ma non basta in tempi di competizione così inesorabile.italian factor

Ad esso bisogna aggiungere punte di innovazione su cui purtroppo la tradizione italiana non si è misurata a sufficienza. La grande maggioranza delle 120mila imprese che hanno chiuso purtroppo non erano attrezzate in questa dimensione.

ermes ponti – Politica a impresa: relazione complicata, si sa… da dove ripartiresti a ricostruire un dialogo davvero portatore di valore?

Francesco Morace – Io credo che la politica sia sempre lo specchio di un Paese e dei suoi vizi/virtù.

La classe politica la scegliamo noi e quindi il cambiamento dovrà essere profondo e arrivare fino alle fondamenta dell’essere italiani.

Mi sembra comunque che la nuova stagione politica che Renzi e il PD hanno lanciato sia foriera di positivi sviluppi, almeno nel medio termine.

Bisognerà partire da una nuova consapevolezza e da una presa di responsabilità collettiva, da una nuova attenzione al bene comune e alla possibilità di una crescita felice.

A questo è dedicato il mio nuovo libro che uscirà sempre con Egea a gennaio 2015 e che si chiamerà “Crescita felice. Per una economia civile”.

[Video] Tre domande di ermes ponti a Barbara Santoro, co-autrice di “Italian Factor”.

Barbara Santoro

Abbiamo avuto il piacere di conoscere di persona Barbara Santoro poche settimane fa a Roma, alla presentazione presso la Camera dei Deputati del libro che ha scritto, a quattro mani con Francesco Morace, “Italian Factor – Moltiplicare il valore di un paese”.

Mentre seguiamo già da diversi anni – sempre con grande interesse – il professor Morace, è stata una scoperta doppiamente piacevole incontrare Barbara, la sua passione imprenditoriale e la sua capacità comunicativa, profondamente umana.

Ci siamo quindi fatti avanti, e le abbiamo chiesto se avrebbe accettato di rispondere a qualche domanda per il nostro blog.

Con grande cortesia e disponibilità ha subito accettato, quindi siamo lieti di cederle la parola.

ermes ponti – Il libro Italian Factor, che hai scritto insieme a Francesco Morace,  è un’idea tua, nata da un’intuizione improvvisa, come ci hai raccontato.
Ci puoi ricordare quel momento, e da cosa è stato stimolato?

Barbara Santoro – Come tutte le intuizioni apparentemente improvvise anche questa è la sintesi di più esperienze.

La più significativa l’ho maturata emigrando in Canada all’età di sette anni.

Il momento stesso in cui la Leonardo da Vinci si staccava dal porto di Genova ho sentito di essere profondamente italiana e quando finalmente sono arrivata a Vancouver ho capito cosa significa essere straniera.

I primi tempi sono stati durissimi perché oltre al problema della lingua, essere italiani suscitava diffidenza e generava emarginazione.

Ma nel giro di pochi anni, grazie ai talenti, il coraggio e lo spirito imprenditoriale dei miei connazionali, tutto è cambiato: essere italiani è diventato motivo di orgoglio, e il bello, il buono e il ben fatto sono diventati oggetti del desiderio.

Da molti anni ormai sono tornata in Italia e, lavorando sul tema della comunicazione internazionale con imprenditori, manager e professionisti di tutti i settori, ho capito quanto sia stata preziosa la mia esperienza canadese.

Perché ho imparato che, al di là del talento individuale, la preparazione e la determinazione, ciascuno di noi può far leva sulla forza di un brand universalmente riconosciuto (il terzo più noto al mondo): il Made in Italy.

Perché noi siamo Made in Italy e dunque dotati di un vantaggio competitivo straordinario.

E allora, come valorizzare questo patrimonio?

Circa un anno fa, stavo lavorando con un imprenditore che da li a pochi giorni avrebbe dovuto affrontare in inglese una conferenza stampa.

Era nel panico non perché non conoscesse l’inglese ma perché non sapeva raccontare la sua attività, “ci vogliono almeno due giorni” mi disse.

Dopo un fiume di parole ho capito che la sua impresa “italianizza” grandi progetti edili all’estero, dotando uffici, ospedali, centri commerciali e, alberghi di materiali, rifiniture, arredi e arte “Made in Italy.
A parità di investimento per il costruttore, questi interventi ne incrementano il valore sul mercato del 30 %.

Ma come raccontarlo? Come sintetizzare il valore dell’ingegno, la bellezza, la maestria, l’innovazione, la tradizione, la cultura e il sapere di una famiglia o di un territorio?

Ho pensato che la somma di tutte queste italiche virtù avrebbe potuto costituire un vero e proprio ‘fattore’ di sviluppo ed essere sintetizzato in tre parole: The Italian Factor!

italian factorep – “The missing ingredient” è un bel punto di partenza… lo riprendo dal tuo intervento alla camera dei Deputati di Roma per chiederti: quali sono gli ingredienti che ci mancano?
E qual è la ricetta?
Infine: chi, a tuo parere, potrebbe gustarla e apprezzarla di più?

BS – Ogni azienda è un caso a sé… gli ingredienti di partenza possono variare, ma la ricetta è uguale per tutti:

1) Valorizzare chi siamo e ciò che abbiamo da offrire (The Italian Factor)

2) Acquisire con umiltà e determinazione ciò che ci manca

3) Studiare, studiare, studiare: il mercato, la concorrenza, i trend e i grandi protagonisti

4) Affrontare ad armi pari l’arena del mercato internazionale con gli strumenti e i linguaggi più efficaci, utilizzando, con altrettanta eccellenza, creatività e maestria con cui realizziamo le cose, tutte le leve della comunicazione (brand identity, country of origin heritage, narrative and storytelling) e del marketing (relazionale, culturale, mobile, web-based e social)

Nella mia esperienza con le aziende italiane riscontro che molto spesso il “missing ingredient” è proprio la capacità di valorizzare, promuovere e comunicare con sicurezza ed efficacia, anche in inglese.

E’ questo il potenziatore che, unitamente all’Italian Factor, può dare una spinta propulsiva alle persone, alle giovani imprese e al sistema Italia.

ep – Più volte hai rimarcato come il self-branding sia essenziale per le aziende italiane: da cosa cominceresti?
In generale, quali le best practice da seguire, a tuo parere?

BS – Insisto molto sul tema perché mentre il nostro “cultural heritage” l’abbiamo solo noi e non può essere acquisito o imitato, tutte le tecniche e le strategie di marketing e comunicazione si possono e si devono imparare.

Sottovalutarne l’importanza può significare consegnare i nostri brand di eccellenza nelle mani di multinazionali, esperte in marketing che sanno valorizzarne quei valori distintivi legati appunto all’Italian Factor.

Le best practice?

Esempi eccellenti tra i brand ancora italiani ce ne sono: Prada, Tod’s, Cucinelli, Ferragamo.

Ma tra quelli che sono stati invece acquisiti e riposizionati dalle multinazionali abbiamo aziende storiche come Poltrona Frau, Gucci, Fendi, Bottega Veneta, Cova e Acqua di Parma. La lista è lunghissima e leggerla fa un po’ male, ma invita a riflettere.

Le criticità nella vita di un’azienda possono essere davvero tante, da un ricambio generazionale alla rapida evoluzione delle tecnologie, dalla concorrenza dei mercati emergenti ai mutamenti socio-demografici.

Ma gli stessi fattori, se affrontati con passione imprenditoriale coraggio e l’orgoglio del lavoro ben fatto possono cambiare il destino di un’azienda, ma anche di un paese.

Ringraziamo di cuore Barbara per la sua disponibilità, oltre che per i suoi messaggi, così importanti.

Di seguito, un breve video girato proprio in occasione della giornata di presentazione di “Italian Factor” a Roma.

Italiani, artigiani dell’Italia del futuro. Grazie a Francesco Morace, Barbara Santoro e a tutti gli intervenuti alla presentazione romana di “Italian Factor”.

Francesco MoraceLa presentazione del libro “Italian Factor” di Francesco Morace e Barbara Santoro alla Camera dei Deputati a Roma é stata davvero interessante.

É stato un think- tank focalizzato sul “moltiplicare il valore del nostro paese”, condotto da un simpaticissimo e coinvolgente Giovanni Aversa (mantovano).

Il progetto “Italian Factor” nasce dalla passione di Barbara Santoro che, come imprenditrice e coach , italiana per nascita, canadese per adozione, orgogliosa della sua italianità sta cercando con l’aiuto di Francesco Morace di fare qualcosa per i valori del ns paese.

Barbara Santoro

Un bel modo di farlo é anche questo: dare esempi concreti, per  ragionare sui paradigmi del cambiamento.

Barbara ha chiesto a tutti di contribuire con “the missing ingredient” per la ricetta Italia: un hashtag (la parola chiave, così definita su Twitter dove si usa con il segno # davanti)… a iniziare dal suo: il #coraggiodiosare.

Secondo Barbara l’Italia deve far leva sui suoi punti di forza e venderli nel mondo con più convinzione.

Il suo approccio è riassunto in un esempio ideale: Eataly di Oscar Farinetti.

É stato geniale costruire una piattaforma distributiva che da dignità e valore alle piccole aziende e contemporaneamente al sistema paese del Made in italy.

Ermete Realacci ( parlamentare nonché presidente di Symbola, fondazione per le qualità italiane) ha proposto #onore.

Sostenendo che l’Italia può vincere la crisi affrontandola con le virtù autentiche della propria identità; innovazione, qualità e bellezza.

Tito Di Maggio, ex-presidente del distretto dell’imbottito della Murgia alla sua prima legislatura da senatore,  ha parlato chiaramente di inadeguatezza della classe politica italiana rispetto alle necessità dell’impresa, ma poi ha suggerito un incoraggiante #nihildifficilevolent… sopratutto per chi fa impresa Sud.

Maria Sebregondi, la “mamma di Moleskine” ha suggerito #doittogether intravedendo nello sharing tra le persone una possibile via per il futuro delle ns aziende.

Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso, é stato il più audace: #nuovoevo.

I tempi sono maturi per promuovere le eccellenze italiane e sopratutto il turismo al quale é legato il tutto il settore food e la manifattura.

Valeria Mangani, vicepresidente di Altagamma Roma: #infinitepossibilities per sottolineare che il nuovo lusso é inside-out: bellezza dell’human value che viene espresso anche da tutto ciò che lo riconosce e lo esprime; dall’abito su misura all’arredo sartoriale.

L’intervento più coraggioso é forse stato quello in videoconferenza di Francesco Casoli di Elica; #passione umiltá e aggregazione: per vincere la partita bisogna crederci!

Italian Factor Roma

Anche noi di ermesponti abbiamo suggerito la un concetto, che viene dal Rinascimento e – modestamente – anche dalla nostra azienda: #endtoendprocess.

Secondo noi, l’eccellenza viene da tutto il processo, dalla fase creativa a quella manifatturiera alla comunicazione e alla vendita.

Non basta avere buone idee, realizzarne i prototipi, se non si é in grado di gestirle fino a metterle in pratica.

É un peccato vedere idee  e prototipi italiani svenduti a imprese estere che fanno crescere i loro PIL con i ns talenti.

L’unico che non ha espresso un hashtag é stato proprio Francesco.

Eppure ha ribadito con forza la sua idea che emerge chiaramente anche dal libro:

Ognuno di noi italiani può e deve fare come un artigiano davanti al suo lavoro (e forse alla sua coscienza): con passione e dedizione farlo nel miglior modo possibile solo per il gusto e la soddisfazione di un lavoro ben fatto.

Se ci riusciremo, senza lamentarci di ciò ciò che non possiamo cambiare e insegneremo questo ai nostri figli avremo fatto già tanto per il nostro paese.

Italiani, artigiani del futuro dell’Italia; potremmo felicemente concludere, cullati dal canto di Pavarotti che ha concluso l’incontro.

Italian Factor: Pavarotti

Se il tuo stagista ti procura un incarico importante alla Biennale di Venezia: grazie Eugenio!

Qualche mese fa abbiamo ricevuto una email dal giovane architetto Eugenio Squassabia.

Eugenio ha fatto uno stage l’anno scorso presso il nostro laboratorio, e ora lavora per lo studio di architetti  tedeschi “Ciriacidis Lehrerer architecten” con sede a Zurigo.

Nel suo messaggio, Eugenio ci comunicava che gli architetti titolari del suo studio stavano cercando un partner per la realizzazione del Padiglione Tedesco alla Biennale di Architettura di Venezia, diretta da Rem Koolhas.

Eccoci! abbiamo risposto.

Il padiglione Germania della Biennale 2014

Dopo poco ci siamo incontrati, qui a Mantova, per conoscerci e presentare loro la nostra azienda.

In quell’occasione ci hanno raccontato le loro idee sul progetto, ed abbiamo visto insieme i disegni e le immagini degli interni da realizzare.

Il progetto ci è piaciuto moltissimo da subito.

Abbiamo anche parlato a lungo di architettura, scoprendo di avere forti affinità.

In comune, ad esempio, abbiamo l’ammirazione per  Adolf Loos, uno dei maestri del Movimento Moderno: entrambi apprezziamo il suo concetto di “raumplan” e lo applichiamo nei nostri progetti.

Tutto questo, in un certo senso, ci è sembrato la perfetta concretizzazione del  concetto di “Common Ground”,  il tema di David Chipperfield per la scorsa Biennale.

Biennale 2014: Padiglione Germania

Dopo alcuni mesi di intenso lavoro, prima a Mantova e poi a Venezia, in occasione della recente inaugurazione, abbiamo potuto vedere di persona l’ottimo risultato di insieme del progetto, davvero armonico in tutte le sue parti (nelle immagini di accompagnamento di questo post, alcuni scorci).

Grande soddisfazione, quindi, per l’esito della collaborazione, anche visto l’eccellente giudizio generale… pensate che il Padiglione Tedesco è stato giudicato dall’autorevole quotidiano britannico “The Guardian” tra i 10 migliori di questa edizione.

Siamo davvero contenti – e anche un po’ orgogliosi – di questa collaborazione con Savvas Ciriacidis e Alex Lehnerer, e ringraziamo ancora una volta Eugenio per aver creato questo contatto, che ci ha permesso una realizzazione così importante.

Paolo Ponti e Eugenio Squassabia davanti al pad. Germania alla Biennale 2014

La nostra azienda si chiama come quest’uomo. Intervista ad Ermes Ponti.

Iniziamo oggi un dialogo con il sig. Ermes Ponti, che dà il nome alla nostra azienda.

La sua figura discreta è sempre presente, più con le azioni che con le parole, e il suo lavoro continua ad essere di esempio per tutti, in particolar modo per i giovani. 

Mr Ermes Ponti, of Ermes Ponti bespoke interiors (Italy)Per chi come noi lavora in ambito manifatturiero, la figura delle generazioni che hanno aperto la strada alle nostre attività sono un riferimento costante: sia per le abilità tecniche sia per lo spirito del “fare impresa”, aspetti alla base del nostro lavoro quotidiano. 

Ma lasciamo la parola al sig. Ermes.

 – Sig. Ermes, come inizia l’attività dell’azienda Ermes Ponti?

Ermes Ponti – La storia della nostra Azienda inizia sulle rive del Po, a san Giacomo Po, un piccolo paese a sud di Mantova.

Alla fine degli anni ’30, mio padre comprò le prime macchine necessarie ad avviare lattività di falegnameria; la leggenda famigliare racconta che  andò a Milano in bicicletta e quando i camion arrivarono scese in piazza tutto il paese… tutti credevano che fossero arrivate le nuove campane per la chiesa!

Iniziammo così la nostra attività, come falegnami.

 – Come si sviluppò negli anni successivi? 

Ermes Ponti – Superato il periodo bellico, dopo alcuni anni, l’azienda si trasferì qui a san Biagio, nei locali di un’ex centrale elettrica dismessa; a quel punti eravamo già diventati una realtà industriale riconosciuta… facevamo arredi ” moderni”, mai visti da queste parti.

Mr Ermes Ponti, of Ermes Ponti end-to-end interiors (Mantua - Italy)Nel ’57 siamo stati i primi in Italia a mettere a punto la vernice al poliestere sui mobili partendo da un cofano d’auto mostratoci da un rappresentante; il 12 Aprile, ricordo ancora la data,  la proponemmo con gran successo alla Fiera Campionaria di Milano e per molti anni abbiamo lavorato per progetti relativi a questo nuovo tipo di vernice al poliestere,  che è ancora molto usata.

Si arrivò così agli anni ’60, fu in quel periodo che io entrai in azienda.

In quel periodo decidemmo di chiamare un grande architetto che potesse disegnare per noi delle nuove collezioni; io e mia moglie Gabriella – la sedia Gabriella è appunto dedicata a lei – scrivemmo una lettera a Gio Ponti, con il quale iniziammo ben presto una lunga collaborazione.

Per noi Gio Ponti disegnò una collezione completa di arredi basati su un concetto innovativo di casa : la serie Apta.

Periodo indimenticabile; Gio Ponti è stato per me un vero e proprio maestro di vita.

– In che periodo la sede assunse la configurazione attuale?

Ermes Ponti – Fu negli anni ’70, quando ampliammo i locali e costruimmo il nuovo laboratorio (quello attuale con copertura a shed oggi integrata con un nuovo impianto a pannelli solari) e acquisimmo commesse importanti;  principalmente grandi strutture alberghiere e ville private.

– Quali sono i marchi più importanti per cui lavoravate in quegli anni?

Ermes Ponti – Collaboravamo con molti, realizzando pezzi di alta ebanisteria disegnati dagli architetti più famosi di quegli anni, un nome su tutti: Driade.

– Vi specializzaste quindi nel design?

In realtà no, la nostra specializzazione era… il lavoro fatto bene.

Arrivò quindi anche, nella prima metà degli anni ‘90, il mondo della moda con la produzione della boutique di Corneliani in Monte Napoleone, a Milano.

Dopo l’ingresso in azienda di mio figlio Paolo e di sua moglie Daniela, entrambi laureati a Firenze in architettura, Corneliani ci propose i primi incarichi di progettazione integrata; una prima piccola showroom a Parigi, poi una prima boutique in Russia e così via.. fino ad affidarci lo studio dell’intero progetto di New Bond Street a Londra e poi quello di Monte Napoleone a Milano. Ad oggi abbiamo progettato e realizzato per loro una cinquantina di negozi; forse di più…

[sfoglia portfolio aziendale…]

– Quali sono gli impegni principali degli anni recenti?

Negli ultimi dieci anni abbiamo lavorato principalmente nel mondo della moda; abbiamo progettato e realizzato grandi boutique monomarca e multimarca, in tutto il mondo.

La gestione integrale di tutto il processo – dalla prima idea progettuale alla realizzazione chiavi in mano del negozio- garantisce al cliente una consistente riduzione dei tempi e dei costi e l’ottimizzazione dei risultati in termini di:

  • funzionalità
  • estetica architettonica
  • qualità artigianale degli arredi.( ripresa disegni, campioni etc..)

Grazie a questo nuovo metodo integrato di progettazione e produzione abbiamo acquisito clienti importanti nel mondo del retail di lusso e della nautica d’eccellenza.

– Tutti dicono che la crisi ha colpito duramente la nautica…

Ermes Ponti – Infatti è così, ma paradossalmente proprio le difficoltà portate dalla crisi hanno portato molti a rivolgersi alla nostra azienda.

Quando siamo entrati noi in questo settore, qualche anno fa, il settore era già in difficoltà… ma grazie al nostro metodo di lavoro siamo riusciti – ad esempio – a dimezzare i tempi di consegna di un 94 piedi, migliorarando i disegni esecutivi e la fase di installazione in cantiere. 

– La crisi  come opportunità di crescita, quindi?

Ermes Ponti – La crisi economica attuale a noi ha insegnato molto.

Ci ha chiesto un’evoluzione; diminuire i costi e i tempi, aumentare la qualità.

Da dieci anni mio figlio Paolo lavora in questa direzione, mettendo a frutto vari aspetti, tutti ugualmente importanti: la sua cultura architettonica, la sua intelligenza pratica e organizzativa, la passione per il proprio lavoro,   l’amore per le cose ben fatte, la dedizione per la propria gente,    il sacrificio quotidiano.

A mio avviso, sono questi i valori della “piccola” impresa italiana che hanno fatto “grande” il Made in Italy.

Personalmente credo che siano ancora molto attuali, e forse la crisi ha fatto sì che li riscoprissimo.

“La Casa del Cancelliere di Bonn da oggi alla Biennale di Venezia… anche grazie a ermesponti.” di Alex Lehnerer e Savvas Ciriacidis.

Lehenerer and Ciriacidis architectsGli architetti incaricati del progetto del padiglione Germania alla Biennale di Venezia parlano di come hanno incontrato la nostra società e il modo in cui si è svolta la collaborazione tra di noi .

Grazie per il vostro post , Alex e Savvas!

ERMES PONTI : UNA COLLABORAZIONE PREZIOSA PER IL PADIGLIONE TEDESCO ALLA BIENNALE DI VENEZIA .
Di Alex Lehnerer e Savvas Ciriacidis .

Padiglione Germania Biennale Venezia

Siamo stati molto fortunati a poter lavorare con ermesponti sul progetto “Casa del Cancelliere di Bonn” del Padiglione tedesco alla 14 ° Biennale di Architettura Internazionale 2014.

All’inizio eravamo molto preoccupati per come avremmo ricostruito la Casa del Cancelliere di Bonn, datata 1964, a Venezia .

Poi, per caso, abbiamo incontrato Daniela e Paolo dI ermesponti.

Un nostro amico e collaboratore italiano, Eugenio Squassabia di Mantova, ce li ha raccomandati poichè anni fa aveva lavorato con loro.

Avevamo già sentito parlare molto della squisita manifattura delle aziende del Nord Italia, ma mai avremmo immaginato quale tipo di entusiasmo e precisione c’è nel loro lavoro, se non dopo aver incontrato ermesponti.

key hole study by ermes pontiDaniela e Paolo si sono subito recati a Bonn in prima persona per verificare l’ “originale” e per valutare da vicino tutti i dettagli dei mobili in legno della casa da riprodurre a Venezia – fino alle serrature di ottone delle ante dell’armadio, che si vedono nel disegno.

Un’analisi che assomigliava quasi a un progetto archeologico nel recente passato di Bonn!

Il padre di Paolo si è poi recato a Milano per prendere il tipo di impiallacciatura esatta per gli armadi a muro della casa di Bonn.

Il risultato è stupefacente .

Padilgione Germania Biennale Venezia

Sono stati impiegati così tanta cura e tanto amore per la realizzazione  che ci sentiamo quasi in colpa che tra sei mesi di Biennale il tutto debba scomparire di nuovo .

Prima di questa scadenza, dovrete andare a vedere il padiglione di persona e verificare con quanta precisione ermesponti ha realizzato i mobili del Padiglione .

Abbiamo anche iniziato a dire alla gente presente: ” Se volete vedere come diventerà tutto ciò tra 50 anni, andate a Bonn!”

Padiglione Germani Biennale Venezia

Ma forse si dovrebbe anche andare a Mantova e dare un’occhiata al laboratorio di ermesponti e ascoltare attentamente Paolo per capire  con quanta cura scelgono e compongono a mano ogni pezzo di impiallacciatura per ottenere il taglio di legno giusto per ogni singolo progetto .

E ‘ sorprendente e stimolante avere ancora professionisti che al giorno d’oggi si preoccupano così tanto del loro lavoro.

Paolo Ponti of ermes ponti at work on Biennale German pavillion

Festivaletteratura 2013

Sono passati 17 anni dalla nostra prima sponsorizzazione del Festivaletteratura di Mantova! Per anni abbiamo fornito ogni tipo di arredo; dai primi semplici tavoli e sedie per i relatori, alle librerie realizzate usando la nostra libreria Sintagma a moduli quadrati , i vari punti informativi (nel classico OSB tinto blu festival) e dall’anno scorso l’accogliente – speriamo- zona attesa sotto il tendone di piazza Sordello con le panche rotonde ergonomiche per tutti i tipi di lettori di ogni età! Continua a leggere

stevejobs

L’eredità culturale di Steve Jobs.

He was brilliant. He had his own style. He had his own approach,” Gates said. “Mine is, I guess…a little geekier than his was.”

Bill Gates ammette di essere meno “cool“ di Steve Jobs. Jobs faceva una distinzione più profonda; riconosceva in Bill “un uomo d’affari” che “ha saputo eccellere sul versante economico delle cose”. Lui no; Steve era diversamente orientato; “La (sua) motivazione stava nei prodotti, non nei profitti”.

Ho votato la mia passione alla realizzazione di un’azienda capace di durare nel tempo, dove la gente fosse motivata a fabbricare prodotti d’eccellenza”. Questo è stato il credo di Jobs: il suo obbiettivo era l’eccellenza del prodotto che potesse rispondere ai bisogni della gente, prima ancora della loro stessa formulazione; “il nostro lavoro consiste nell’immaginare ciò che il cliente vorrà, prima ancora che lo faccia lui stesso”.

Le ultime pagine della famosa biografia di Steve Jobs sono quelle che sintetizzano meglio la sua identità e il suo lascito. Leggendole e rileggendole colgo la profonda affinità che lega la nostra minuscola azienda ermesponti al colosso Apple; dalla mission orientata alla creazione di prodotti d’eccellenza fino al disinteresse per il profitto, e al problem solving quasi maieutico dei bisogni del cliente. Continua a leggere

“Se vuoi fare l’architetto 
impara a fare il falegname”

Su La Stampa di oggi ho appena letto l’intervista a Wang Shu – vincitore del premio Pritzker 2012-  in occasione della sua Lectio Magistralis alla Triennale di Milano per l’inaugurazione della mostra “ from research to design – selected architects from Tongji University of Shanghai.

Fin da quando – qualche settimana fa-  appresi dell’assegnazione del Prizker all’architetto cinese Wang Shu e lessi la sua intervista sul New York Times, ebbi l’impressione di una certa affinità con alcune sue affermazioni  che oggi ritrovo confermate ancora di più in quest’ultima intervista Milanese. Continua a leggere

Il nostro primo stagista.

Ieri ha finito il suo stage estivo presso la ermesponti, il primo stagista della ermesponti ;  ci siamo dal 1937, ma abbiamo scelto questo nuovo nome solo il primo ottobre scorso, dopo la scissione dal vecchio arredamenti ponti ( che è rimasto come negozio di mobili), perché crediamo che un nome e cognome di persona possano meglio rappresentare i valori sui quali è fondata la nostra realtà; in particolare, la fiducia di un rapporto diretto personale, sartoriale, con il nostro cliente.

Eugenio, primo stagista della Ermesponti, mentre impara da un mastro falegname

Di questo si tratta in realtà; siamo una sartoria dell’arredo; uno studio di architettura dentro un laboratorio di ebanisteria contemporanea.

Qui lo stilista e il sarto sono la stessa persona; parafrasando uno dei nostri maestri d’architettura, Adolf Loos, potremmo definirlo ancor meglio; “l’architetto è un muratore che ha studiato Il latino” diceva Loos di se stesso o, “un falegname” si potrebbe dire Paolo Ponti. E così come Loos, era figlio di un marmista, Palladio di un lapicida o Raffaello di un pittore capo-bottega anche Paolo Ponti è figlio di un falegname, nipote persino; la terza generazione.  Dall’ età di otto anni ha fatto il mozzo di bottega e ancora oggi, magari in fase di installazione, si toglie la giacca, appoggia la matita e prende in mano l’avvitatore. Continua a leggere