London Design Week 2015: appunti e riflessioni.

Poche settimane fa abbiamo visitato alcune parti della London Design Week: Designjunction, Tent,  Superbrands e naturalmente 100% Design.

Una città piena di gente, un’atmosfera piacevolissima ha fatto da sfondo alla grande kermesse del design e attività correlate.
Per noi di ermesponti è stata un’esperienza completametne nuova.
Londra è sicuramente una delle capitali del design, con una identità molto precisa, e molto diversa da quella milanese a noi più familiare.
ermes ponti london bespoke interiors
Non è semplice da spiegare. In sintesi,  si può dire che a Milano si ritrovano i “big brand” italiani, che esprimono i valori dell’Italian Design e Italian Lifestyle.
Ogni padiglione è come una passerella di moda, con la nuova collezione. In ogni stand c’è estrema attenzione a ogni dettaglio, con un effetto finale piuttosto teatrale. Le collezioni sono i protagonisti dello spettacolo, l’allestimento è fondamentale.

A Londra abbiamo trovato un approccio del tutto diverso. Non c’è una vera e propria Fiera, ma molti eventi in vari punti della città.

Londra sembra più una terra di designer e talenti indivisuali… anche se con alcune eccesioni, ci sono parsi più artisti che artigiani.
Naturalmente anche il movimento dei Makers americani è ben rappresentato nella capitale britannica, e questo non fa che confermare le nostre impressioni. C’è una fortissima tendenza alla creatività, con molte nuove realtà che si affacciano sul panorama del design.
Questa “London way” pare riguardare non solo gli inglesi ma anche il nord Europa: molte sono le presenze dalla Scandinavia, ad esempio, più di quanto si veda mediamente in Italia.
Abbiamo anche riscontrato una forte enfasi sul cliente per quanto riguarda il processo stesso del design, come ad esempio nel brand norvegese Tylco.
ermes ponti london bespoke interiors

Sono completamente focalizzati sulla produzione “su misura” e “just in time”, epr ogni songolo cliente. Hanno software specifici per gli shop online, con i quali customizzare un mobile attraverso misure, materiali e colori personalizzati.

Il design della collezione è quello, ma prima di ordinare puoi chiedere tutte le personalizzazioni che vuoi, come accade appunto nella moda.
Avvicinare questi approcci ci ha fatto capire forse anche meglio di prima alcuni punti focali dell’identità Ermesponti. Il mondo del “bespoke furniture” è completamente diverso! Non abbiamo ne shop online né collezioni.

Noi progettiamo e realizziamo ogni interno come un pezzo unico. Ogni elemento è unico, ed è creato solo ed esclusivamente per il suo proprietario.

A nostro parere, l’installazione più interessante di tutta la manifestazione è stata il padiglione coreano. Una incredibile collezione di pezzi unici realizzati da giovani artigiani davvero straordinaria per la loro natura contemporanee e per la duratura  bellezza dei materiali.

Ogni artista, ogni artigiano ha sviluppato un modo personale di creare le proprie realizzazioni, partendo da tecniche e know-how antichi. Questo è ciò che facciamo anche noi. Il prodotto è completamente diverso ma l’approccio è lo stesso.

A partire dalla tradizione artigiana e dalla cultura architettonica,  possiamo trovare nuove strade per il presente e il futuro dell’ interior design.
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“Siamo come nani sulle spalle dei giganti”
( Bernard Chartres)
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Save the date: Milano 15/10/2015 presentazione Open Book “Autori di crescita”. Il contributo di Paolo Ponti al Festival della Crescita.

Contributo di Paolo Ponti al festival della crescitaGiovedì 15 ottobre a Milano un momento importante per tutti coloro che hanno a cuore la crescita economica e culturale del nostro paese…

La casa editrice Egea, nell’ambito del Festival della Crescita in programma a Milano dal 15 al 18 ottobre, presenta l’Open Book “Autori di crescita” a cura del prof. Francesco Morace.

Siamo da sempre sostenitori della “crescita felice” così come magistralmente interpretata dal prof. Morace – che già in passato ha voluto includere ermesponti tra le imprese in grado di sviluppare traiettorie di crescita virtuosa – ma questa volta c’è un motivo in più per “tenersi liberi” il 15 ottobre…

Siamo tra gli autori del libro, grazie allo scritto di Paolo Ponti, di cui ci fa piacere riportare il passo che segue:

La crescita è sempre un percorso complesso, ma ancora più ambizioso è il concetto di CRESCITA FELICE.

Perché sia felice, deve esserlo per tutti gli attori coinvolti, per esempio parlando di un impresa; i clienti, i lavoratori, l’imprenditore, lo stato.

Come architetto ed imprenditore perseguo questo semplice obbiettivo; la crescita felice di tutti attraverso l’eccellenza di un processo continuo che ho l’onere e l’onore di gestire end-to-end, cioè dalla prima idea su un foglio di carta bianca alla sua completa realizzazione.

Il primo soggetto felice deve essere il cliente; ogni progetto è un suo personalissimo ritratto.
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Appuntamento a Milano il 15 ottobre ore 18:45 presso l’Happy Book – Cult Library al Palazzo delle Stelline di Corso Magenta 61 per la presentazione ufficiale di “Autori di Crescita”.
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L’ingresso è aperto a tutti, previa registrazione da effettuarsi sul sito del Festival.
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Link utili:
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In attesa dell’appuntamento di giovedì 15, vi lasciamo con la presentazione video del Festival da parte del prof. Francesco Morace!
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London Design Festival: il Design in scena a Londra… ed ermesponti c’è!

London Design Festival 2015

Londra, settembre 2015: apre le porte il London Design Festival, e l’inizio è dato dallo strarodinario weekend Openhouse London (un fine settimana in cui è possibile avere accesso a residenze di ogni tipo, da quella del primo ministro al 10 di Downing Street al grattecielo Gherkin… senza dimenticare le case normali delle persone normali (non meno interessanti).

Il calendario degli eventi è distribuito su su 10 giorni, dal 19 al 27 settembre, e le cose da vedere si trovano nei 7 “Design Districts” della città.

Ermesponti ci sarà, a contatto con questa notevole “onda” di energia, talento, ispirazioni e – perché no – divertimento.

Il piacere di seguire un happening come il Design Festival ha indubbiamente i suoi lati divertenti :-)

Seguiteci su Twitter per condividere impressioni e commenti su ciò che vediamo, ricordando che l’hashtag ufficiale è #LDF15.

Altri link utili per chi segue il Festival:

Stay tuned, come dicono gli anglosassoni:  condivideremo presto le nostre impressioni su questo importante evento internazionale!

Una foto del team di architetti ermesponti su La Stampa: perché?

La Stampa pubblica ermesponti
E’ passato qualche tempo da quando Dario Di Vico dedicò a Paolo Ponti una pagina della sua rubrica Buone Notizie su Corriere.it con richiamo in prima pagina…

La buona notizia era che un giovane architetto italiano aveva trovato il modo di snellire il processo organizzativo e produttivo del laboratorio artigiano di famiglia e portarlo ad essere competitivo nel mercato globale.

L’articolo era molto esplicito con tanto di foto e riferimenti precisi.
Su La Stampa del 10/9/2015 invece l’articolo di Giacomo Galeazzi  è sulla rubrica “Giovani e Università” e si parla genericamente di “Architettura” snocciolando numeri e statistiche accompagnati da qualche considerazione del presidente del consiglio degli architetti – Leopoldo Freyrie – e del presidente dell’ordine degli architetti di Milano-Valeria Bottelli.
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È lecito chiedere perché proprio la foto di Paolo Ponti e Daniela Podda al loro tavolo di lavoro con i disegni originali di Gio Ponti alla parete che fanno da fondale?

Verrebbe da rispondere che l’avranno scelta per la bellezza della foto in sé; merito questo del bravo amico Martino Lombezzi (Contrasto) che l’ha scattata.
Eppure il titolo da solo insospettisce non poco:
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“Un lavoro in team, ora il progettista diventa imprenditore”

Quale migliore descrizione del lavoro dell’architetto Paolo Ponti che ha scelto di risollevare le sorti del vecchio laboratorio artigiano ereditato dal padre e dal nonno e di trasformarlo in una moderna azienda che esporta interni sartoriali ovunque nel mondo?
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È uno studio sui generis il nostro; uno studio di architettura dentro una fabbrica di arredi.
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Uno studio che – come insegna lo stesso Gio Ponti in “Amate l’architettura” – si fa carico di gestire l’intero processo ideativo e produttivo senza soluzione di continuità .
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Partiamo dal foglio bianco e disegniamo interni sartoriali (“bespoke interiors” recita il nostro claim) per negozi, case e persino yacht, seguendo tutte le fasi fino alla gestione del cantiere e alla produzione e l’installazione finale.
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Per garantire l’eccellenza del risultato a costi e in tempi competitivi, infatti, questa é la sola strada ed é stata già percorsa da secoli dalle botteghe del nostro Rinascimento e riscoperta da personaggi del calibro di Steve Jobs nel suo voler controllare hardware e software insieme cioè – come noi in campi diversi – l’intero processo” end-to-end”.
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Ma ritornando all’articolo, sembrano troppe le coincidenze…
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– quando parla del Made-in-Italy come valore da esportare contro la flessione del vecchio mattone nel mercato
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– quando dice che ci sono giovani architetti che, con spirito d’iniziativa, lucidità e consapevolezza, guardano alla globalizzazione come un’occasione e al mondo “come vocazione”
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– quando ci racconta di giovani che spostano la loro professionalità e il marchio “ITALIAN style” all’estero, anche con frequenti periodi di lavoro all’estero (ma rinunciando alla tentazione di emigrare del tutto)
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– quando parla del rapporto collaborativo tra aziende e professionisti dello stesso territorio (come non pensare alla relazione tra il nostro studio e Corneliani, per esempio)
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Tutti questi riferimenti non sembrano puramente casuali. Ma perché pur fotografati non siamo stati citati?
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L’articolo infine, dopo aver constatato che in Italia ci sono troppi micro-studi e che un buon 35% sono in mano a quarantenni come noi,   chiude così:
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“Il futuro è il mondo, la carta vincente é l’elasticità. Senza sogni, non si creano ponti”.

Niente di più vero.

E allora diciamolo ai giovani studenti di architettura che  anche il difficile sogno di Paolo Ponti è oggi realtà;  progettista ed imprenditore insieme, lavora in team con i suoi architetti e i suoi falegnami per disegnare e costruire interni sartoriali che esportano il meglio dell’eccellenza del Made in Italy nel mercato globale per un target di cliente molto particolare; chi cerca l’unicità.
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–> Clicca qui
per scaricare l’articolo de “La Stampa” in formato PDF

Piccola architettura di interni ermesponti: racconto per immagini del processo end-to-end, dal primo schizzo all’inaugurazione.

Cornelian cylindrical tailor-room by ermesponti interiors

1 – LA PRIMA IDEA DELL’ARCHITETTO

Direttamente dal taccuino dell’architetto, la prima idea di creare un volume circolare attorno ad un pilastro strutturale. Da un limite un’opportunità. Da un pilastro strutturale un perno spaziale attorno al quale ruota la progettazione in sezione dell’intero negozio. Vedere per credere.

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2 – LO SCHIZZO DEL FALEGNAME

Dopo la conversazione con gli architetti; ecco lo schizzo (fotocopia sgualcita dell’originale) che il falegname incaricato di questa micro commessa – Alberto – si crea e tiene con sé per costruire una piccolo pezzo di architettura contemporanea dentro un antico palazzo nel cuore di Milano.

3 – L’IDEA PRENDE FORMA: IL CANTIERE È PRONTO

Siamo già a buon punto; il cantiere è quasi pronto. I lavori strutturali completati, ivi incluso il taglio di una trave portante e l’adeguamento sismico dell’intero edificio a firma dell’ing. P. G. Malerba del Polimi fatta orgogliosamente sui nostri disegni a mano. È il momento giusto: il nostro maestro falegname Alberto va a Milano per gli ultimi rilievi di controllo.

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4 – DALLA SIMULAZIONE 3D
AL PRE-MONTAGGIO IN LABORATORIO

Con il foglio disegnato a mano dagli architetti visto prima, e una simulazione 3D che lascia intuire la complessità della costruzione, Alberto si mette all’opera e nel laboratorio di ermesponti costruisce la sua piccola architettura a pianta circolare. Qui vediamo la fase di pre-montaggio. Tempo di realizzazione: 20 giorni circa.

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5 – L’INSTALLAZIONE FINALE

Eccolo di nuovo in cantiere, sempre Alberto, che installa la sua opera. Con un solo aiutante. Con tanta cura, intelligenza, passione, gusto per il lavoro ben fatto… si vede? Questo lavoro è suo; lo sente suo perché lo ha curato dal concepimento fin qui. Ecco l’artigiano evoluto in azione.

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6 – NEGOZIO FINITO, INAUGURAZIONE

Ed ecco, dopo pochi giorni, il negozio finito! Una sala vip a pianta circolare fa da snodo tra ben quattro piani del negozio. Avete idea adesso di come è nato questo volume circolare attorno ad un pilastro strutturale e della complessità che c’è dietro? La continuità tra il primo schizzo, la realizzazione e l’installazione ? Tutto si risolve  entro un  processo lean (snello) alla ermesponti: il nostro rivoluzionario end-to-end process :-)

Dettaglio interiors Corneliani Montenapoleone store by ermesponti

7 – L’INVENZIONE È ANCHE NEL DETTAGLIO:
LA PELLE CORDONATA

Ma l’invenzione non finisce qui… è anche nel dettaglio: qui si può apprezzare la riscoperta di una vecchia lavorazione artigianale della pelle con un cordoncino cucito in genere negli angoli.
Qui è riproposta rinnovata, facendone un decoro tridimensionale di gusto contemporaneo e rendendo la superficie della pelle “cordonata” ;  i cordoncini  disegnano – connotandoli – i pannelli curvati a strisce di vario spessore a seconda della posizione rispetto alle nicchie display per il prodotto, in ebano Macassar lucido con profili acciaio inox.

Cos’è un falegname per noi di ermesponti.

Si fa presto a dire “falegname”.

In ermesponti coltiviamo questo antico mestiere con attenzione e rispetto.

Falegname presso ermespontiMolti dei nostri carpenters (così li definiscono i nostri clienti internazionali) sono in realtà maestri falegnami, che hanno imparato con noi, negli anni, progetto dopo progetto, a lavorare il legno.

In ermesponti, a partire dal titolare – il quale, nonostante la cinquantennale storia imprenditoriale, ha sempre voluto “falegname” sulla carta d’identità – essere falegname significa essere al cuore operativo dell’azienda, laddove il pensiero si fa materia Signor ermes ponti,titolare dell'azienda omonima, al lavoro con un falegnamegrazie all’opera della mano, per poi restituire alla mente l’esperienza vissuta della lavorazione manuale, in un arricchimento costante e fluido, senza divisioni tra “chi pensa” e “chi fa”.

In ermesponti “pensare” e “fare” sono due prospettive dello stesso sguardo,  due fasi dello stesso progetto, due momenti della stessa giornata. Non c’è separazione tra lavoro della mente e lavoro della mano, indipendentemente dai ruoli aziendali.

Un falegname di ermesponti (Mantova, Italy) al lavoroQuesto “dialogo” costante tra pensiero e azione,  costituisce un continuum che porta, secondo noi, all’eccellenza nella realizzazione di un pezzo di interiors, sia esso residenziale, retail o yacht.

E se vogliamo entrare nell’operativo, ecco come è organizzato il lavoro.

Ogni falegname è responsabile del proprio lavoro e della propria micro-commessa (cioè della parte della commessa oggetto della specifica fase del lavoro).
Dopo aver parlato con l’architetto sulla base dei suoi disegni esecutivi, il falegname ermesponti si disegna da solo al computer le schede necessarie per la produzione, poi esegue i tagli dei pannelli alla macchina a controllo numerico, così da ottenere precisione millimetrica nelle lavorazioni più difficili; infine completa le parti più importanti a mano e assembla l’arredo in laboratorio prima della fase di verniciatura per verificarne la perfezione.

Questo approccio, semplice ma non banale, ci consente di incrementare la creatività diffusa (widespread creativity), mentre il problem solving naturale dell’artigiano lavora in continuità con l’architetto, al di là della porta a vetri che li divide e li unisce.

Vi sembra poco? Per noi è tutto qui: è così che creiamo valore per i nostri clienti.
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“Se vuoi fare l’architetto, impara a fare il falegname”

Su questo, Mr. Shu ci trova sicuramente d’accordo!

Falegname al lavoro presso ermesponti Mantova

Gita alla Basilica di San Vitale a Ravenna, con Paul Valéry e Leon Battista Alberti

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E dimmi (giacché sei così sensibile agli effetti dell’architettura), non hai osservato, andando per la città, che tra gli edifici che la popolano, alcuni sono muti, altri parlano e altri ancora, i più rari, cantano?
Ebbene, qualche settimana fa abbiamo voluto tornare a visitare una delle capitali – quasi dimenticate – della storia e della cultura di questo nostro paese: Ravenna.
Le volte della Basilica di San Vitale a Ravenna
Qui sono molti gli edifici che – per dirla con Valéry – parlano, e ve ne sono anche alcuni che cantano (e piacerebbero anche al maestro Riccardo Muti, che citava come la musica più profonda stia in mezzo ai suoni e non nei suoni, proprio come nell’architettura è nello spazio delimitato tra le colonne, non nelle colonne).
E che canto si leva dalla Basilica di San Vitale di Ravenna!
Un canto – dopo 1500 anni – ancora perfettamente vivo, forte, chiaro. Indimenticabile.
Un canto che si può definire “spaziale”.   Per intenderci, a San Vitale il canto dell’architettura si sente in modo completo, con tutti i sensi coinvolti nella percezione dello spazio.
Veduta interna della Basilica di San Vitale a Ravenna

Lo spazio architettonico romano raggiunge qui il suo grado più alto “smaterializzazione”, al punto che…. difficilmente può esserci spazio più spirituale di questo.

Non è esagerato affermare che San Vitale mette la prima pietra dello sviluppo di tutta l’architettura sacra del medioevo europeo (è bello ricordare qui le pagine di un testo fondamentale: “Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio” di Sergio Bettini).
La struttura architettonica tipica dei templi romani a pianta circolare diventa – a San Vitale – un sistema organico che frammenta lo spazio seguendo la direzione centrifuga delle forze statiche.
Il muro perimetrale è quasi negato, sembra una membrana che si muove e respira.
Le finestre di alabastro filtrano una luce marmorea.  La spinta della cupola verso l’alto è quasi risucchiante e la profondità dell’abside -sbriciolato dalle luce immateriale delle superfici musive – orientano subito verso lo stesso “altrove”: forse il cielo?
Mosaico alla Basilica di San Vitale a Ravenna
Anche i mosaici originali del pavimento danno una profondità insolita, e la sensazione che si prova è di galleggiare in una dimensione spaziale sofisticatissima, quasi immateriale.
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Un edificio è come un corpo
scriveva qualche anno fa (nel 1450) Leon Battista Alberti nel suo De Re Aedificatoria e la sua armonia è la “Concinnitas” di tutte le parti,  ecco ciò che affascina di San Vitale.

La postura di questo corpo architettonico e il rapporto tra tutte le sue parti (dai muri alle aperture, al singolo dettaglio architettonico) ci eleva ad un altra dimensione.

Non c’è direzione; il pavimento, il bema e la cupola ci risucchiano e tutto intorno lo spazio sembra girare.

Com’è possibile che una creazione umana, un edificio architettonico, raggiunga tali livelli di misteriosa bellezza?
Più che un’opera dell’uomo, sembra una creatura di Dio: luce e spiritualità purissime.

E invece, l’uomo ha concepito e realizzato questo capolavoro architettonico. È incredibile come la mente e  la mano dell’uomo possano arrivare a livelli espressivi così alti. Il canto architettonico di San Vitale é commovente – ieri come oggi – perché esprime un’armonia che tocca le corde più profonde dell’anima umana.

L'interno della Basilica di San Vitale (Ravenna)

 

Ikea vs. Made in Italy?

“Ikea è il brand più apprezzato dagli italiani”.

Titola così un’autorevole testata online, naturalmente citando la fonte dell’altrettanto autorevole studio che convalida la tesi a suon di cifre (300mila persone intervistate da Havas in 34 paesi, con un campione di 1.000 brand).

I marchi sono analizzati in rapporto a varie aree di benessere, tra le quali salute, felicità, benessere economico, relationship e community.

Ecco cosa riporta Havas:

Questi brand possono incrementare fino a sette volte la loro forza competitiva (share of wallet) e guadagnare circa il 46% in più rispetto ai brand percepiti come meno significativi (…) I Top Meaningful Brands ottengono performance di marketing due volte migliori rispetto a quelli raggiunti dai brand meno significativi”

Il posizionamento di Ikea, sempre secondo la classifica, riconosce al marchio

“La capacità di “rispondere alla crescente richiesta di una semplificazione della vita quotidiana garantendo al contempo buona qualità a un giusto prezzo”

Mi permetto qualche osservazione, dal punto di vista di chi – qualcuno lo ricorderà – è stato giudicato dal Corriere della Sera “un esempio vivente e vincente di come si può competere con la globalizzazione” (qui l’articolo a firma di Dario De Vico).

Ragionando al netto delle imponenti campagne pubblicitarie, della capillare presenza in tutto il globo, della straordinaria storia imprenditoriale della famiglia Kamprad, non posso non rilevare alcuni elementi:

– La globablizzazione del gusto proposta da Ikea mi pare il contrario del benessere, della relationship e della community

– In termini estetici e valoriali, ciò che mi suggerisce la proposta Ikea è appiattimento della vita, omogeneizzazione del gusto, insostenibilità ambientale

– Il rapporto qualità prezzo, se calcolato con le economie di scala di cui possono godere è… astronomico (per intenderci: se un’azienda come la nostra facesse 10-20 pezzi uguali potrebbe fare i prezzi Ikea; moltiplicando per milioni di pezzi è  facile capire come il value for money valga soprattutto per gli azionisti…)

Tutto questo mi fa pensare al nostro paese, alla fortuna che abbiamo di essere i protagonisti – internazionalmente riconosciuti – della qualità del vivere, del gusto a 360°, del piacere della bellezza.

Ciò è di un ordine superiore a qualunque ricerca di mercato, e ha radici nella storia del nostro territorio, non a caso luogo di riferimento dell’arte mondiale.

Non c’è Ikea che tenga: nei capisaldi del buon vivere, della relationship e della community (per usare gli stessi termini della fonte citata), il luogo più “meaningful” di tutti, per tutto il mondo, si chiama Italia.

Venendo a noi, al settore in cui il colosso svedese è protagonista – quello dell’arredamento e del lifestyle – l’Italia ha un heritage fortissimo nella tradizione culturale, prima ancora che professionale e tecnica, dei suoi artigiani.

Questo “sapere” si traduce concretamente in:

– realizzazione di prodotti unici e realizzati “su misura” per la persona, per la famiglia, per l’attività commerciale

– i costi di questi prodotti, grazie alla competenza dei processi e dei materiali, sono assolutamente sostenibili e competitivi, e possono essere gestiti e controllati

– la durata è eterna, grazie a una qualità assoluta

– i tempi di produzione sono rapidi e gestibili

– la relazione è personale, reale, diretta; con facce e persone, non con un brand o un servizio clienti

– ciò che viene prodotto è espressione di se stessi, e può assecondare o meno la moda del momento

Inoltre, acquistando un prodotto artigiano italiano, finanziamo le nostre imprese, costruiamo un pezzetto di futuro per i nostri figli.

Non penseremo mica che per essere equo solidali basta comprare qualche etto di caffè fair trade?

Se crediamo nel nostro Made in Italy investiamo in Italia. Le PMI italiane investono ogni giorno in questo paese. Da consumatori dovremmo fare altrettanto.

Per esempio, ripromettiamoci di comprare solo Made in Italy ( anche se costa di più sappiamo il perché) e facciamo orgogliosamente da testimonial dei ns prodotti e del ns stile di vita.

Forse, il mondo ha ancora bisogno di questo piccolo paese a forma di stivale. Viva l’Italia!

(Daniela Podda)

Cos’è il lusso? Riflessioni pensando all’orgoglio di essere italiani (citando Riccardo Muti).

I media si riferiscono spesso al Lusso come a una delle manie del millennio.

E giù: diagrammi (le capitali del lusso, inteso cioè come spesa per beni superflui),  definizione  del mercato annuale dedicato (17 miliardi) e dei trend di crescita (400 milioni di persone i consumer in crescita continua tra i 35 e i 40 anni),  studi e ricerche finanziati da Altagamma e Boston Consulting Group; e poi persino le etichette per categorie di consumatori del mercato globale dei beni superflui o del lusso : i socialwearer, gli experiencers, gli absolute luxerer.

Su questi ultimi leggo: “La preda (si badi bene: preda) più ambita tra le aziende di alta gamma, è l’absolute luxurer ricco, raffinato, elegante. Appartiene all’elite europea e agli Happy Few dei mercati emergenti, spende per abiti e orologi, ma anche per viaggi e vini, con particolare attenzione a tutto ciò che è unico e customizzato. Genera un mercato che vale miliardi di euro all’anno con una spesa di 30mila euro pro capite”.
Hanno persino inventato un “Luxury barometer” (strumento che misura la propensione della popolazione ricca del pianeta alla spesa futura) che rileva non solo un’inversione di tendenza globale (dal -5% del 2014 scorso anno al +15%  del 2015), ma anche  -fortunatamente – la crescita dell’interesse dei consumatori nei confronti della sostenibilità sociale ed ambientale (dall’8% al 13%) sopratutto in Europa e Stati Uniti (evidentemente mercati più maturi) che si va ad aggiungere agli altri valori determinanti la scelta di un prodotto; qualità, artigianalità, esclusività.
Tutti concetti e valori positivi – si intende – soprattutto per il nostro amatissimo Made in Italy che, nonostante la dolorosa contrazione del mercato interno, ancora resiste come uno dei maggiori esportatori di questi beni definiti di lusso.

Ma poi penso, quid tum?

Che cosa è davvero il lusso?

Possiamo accettare – noi italiani – che il lusso sia ridotto alla definizione di beni di consumo superflui? Possiamo accettare noi mercati maturi e noi società democratiche che il lusso sia legato al mero concetto di esclusività e al prezzo (e spesso svincolato dal valore vero) come suggeriscono oramai tutte le fonti e tutti i media?

Mi viene in aiuto niente di meno che il maestro Riccardo Muti con una sua bella intervista :  “Il lusso é un sussurro” rilasciata a Nicoletta Polla Mattiot. Mi sembra che suoni meglio.
Il lusso di essere italiano (Muti)
Qui il lusso è slegato da numeri e valori di mercato (anche se poi produce anche quelli) e si lega a valori i materiali come quelli dell’anima:
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“Tutti dovrebbero studiare musica (ndr: o architettura, che nel rinascimento era la stessa cosa) ingentilisce l’animo. Si andrebbe verso una società migliore”.
Concordo pienamente. E cosa cerca il Maestro nelle composizioni di musica (o di architettura, aggiungo io)?
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“Ciò che non si vede. Ciò che sta oltre. Mozart diceva che la musica più profonda è in mezzo, tra i suoni, e non nei suoni”.
(Così come l’architettura non è nelle colonne ma negli spazi tra le colonne, non nei muri ma negli spazi delimitati dai muri).

E ancora, il maestro esprime l’orgoglio di essere italiano: ” Essere nato in Italia é un privilegio. Sono orgoglioso del mio passaporto e non ne vorrei uno diverso”. Nonostante tutto per le stesse ragioni, non si può non condividere anche questo.

Poi continua:”Come musicista , di fronte all’orchestra, riesco a seguire le linee musicali di 120 persone che suonano insieme, cercandosi, avvolgendosi l’un l’altra, pur mantenendo la propria identità. Le posso seguire tutte e le sento tutte diverse, ma ognuna concorda verso un fine comune che é il bello”.
(Niente di diverso dalla bellezza architettonica definita come Concinnitas universarum partium, tale che niente si possa aggiungere o togliere senza turbare il suo equilibrio).
 E poi conclude:
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“C’é un lusso meraviglioso che regala la musica (ndr. ‘regala’, gratis, for free..); intensità nella delicatezza, quel saper suonare piano e intenso, a cui invitava Toscanini. É anche un modo di vivere. Sentire la semplice, abissale differenza che passa fra urlare , “ti amo” o sussurrarlo”.
Questa definizione è commovente.
Il lusso dunque non può essere definito come produzione e consumo di beni superflui. Il lusso è essenziale come la musica:
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“Penso che la musica non possa essere un privilegio di pochi ma un diritto di tutti è che sia un dovere dello stato insegnarla”
sostiene il Maestro  Muti.  Ma non si può possedere: “Nessuno possiede la musica”.

Il lusso dunque è innanzitutto un bene di tipo immateriale, culturale, quasi spirituale, oserei dire. È quel valore inestimabile  che ha plasmato lo spirito della nostra civiltà e che si è materializzato nelle forme di eccellenza della nostra arte, musica, architettura, letteratura.

Cerchiamo pure di definirlo, ma sfugge; più che una mania, è ” un sussurro”. Tutti lo possono sentire (la sua vocazione è democratica), ma in realtà pochi lo sentono veramente perché non é nelle cose (come la musica non é tra le note), ma tra le cose, oltre le cose. Il lusso è un esperienza incommensurabile.

Dall’umiltà di un balcone di Verona al lusso del Puli di Shanghai. Cosa ci racconta un motivo decorativo.

Viaggiare insegna.

Noi viaggiamo molto – per fortuna il nostro lavoro ci porta a realizzare interni su misura un po’ dappertutto – e a volte la mente fa collegamenti inaspettati e sorprendenti. Un esempio?

Motivo grafico su balcone di VeronaStoria vera: immaginate di ritrovare lo stesso motivo decorativo su un balcone di Verona e  – un viaggio intercontinentale più tardi – al Puli Hotel and Spa di Shanghai, come interparete di lussuosissimi ambienti.Puli Hotel and Spa Shanghai

Non pensate che… prendiamo troppi aerei, e che il jet lag ci fa strani effetti!

Le foto documentano singolari coincidenze, e in fondo scoprire che “tout se tient” non ci dispiace.

Muratori e decoratori veneti e poli asiatici del lusso si ritrovano a condividere un segno visivo?

E chi siamo noi per negarlo?  :-)

Puli Shanghai