“Ikea è il brand più apprezzato dagli italiani”.
Titola così un’autorevole testata online, naturalmente citando la fonte dell’altrettanto autorevole studio che convalida la tesi a suon di cifre (300mila persone intervistate da Havas in 34 paesi, con un campione di 1.000 brand).
I marchi sono analizzati in rapporto a varie aree di benessere, tra le quali salute, felicità, benessere economico, relationship e community.
Ecco cosa riporta Havas:
Questi brand possono incrementare fino a sette volte la loro forza competitiva (share of wallet) e guadagnare circa il 46% in più rispetto ai brand percepiti come meno significativi (…) I Top Meaningful Brands ottengono performance di marketing due volte migliori rispetto a quelli raggiunti dai brand meno significativi”
Il posizionamento di Ikea, sempre secondo la classifica, riconosce al marchio
“La capacità di “rispondere alla crescente richiesta di una semplificazione della vita quotidiana garantendo al contempo buona qualità a un giusto prezzo”
Mi permetto qualche osservazione, dal punto di vista di chi – qualcuno lo ricorderà – è stato giudicato dal Corriere della Sera “un esempio vivente e vincente di come si può competere con la globalizzazione” (qui l’articolo a firma di Dario De Vico).
Ragionando al netto delle imponenti campagne pubblicitarie, della capillare presenza in tutto il globo, della straordinaria storia imprenditoriale della famiglia Kamprad, non posso non rilevare alcuni elementi:
– La globablizzazione del gusto proposta da Ikea mi pare il contrario del benessere, della relationship e della community
– In termini estetici e valoriali, ciò che mi suggerisce la proposta Ikea è appiattimento della vita, omogeneizzazione del gusto, insostenibilità ambientale
– Il rapporto qualità prezzo, se calcolato con le economie di scala di cui possono godere è… astronomico (per intenderci: se un’azienda come la nostra facesse 10-20 pezzi uguali potrebbe fare i prezzi Ikea; moltiplicando per milioni di pezzi è facile capire come il value for money valga soprattutto per gli azionisti…)
Tutto questo mi fa pensare al nostro paese, alla fortuna che abbiamo di essere i protagonisti – internazionalmente riconosciuti – della qualità del vivere, del gusto a 360°, del piacere della bellezza.
Ciò è di un ordine superiore a qualunque ricerca di mercato, e ha radici nella storia del nostro territorio, non a caso luogo di riferimento dell’arte mondiale.
Non c’è Ikea che tenga: nei capisaldi del buon vivere, della relationship e della community (per usare gli stessi termini della fonte citata), il luogo più “meaningful” di tutti, per tutto il mondo, si chiama Italia.
Venendo a noi, al settore in cui il colosso svedese è protagonista – quello dell’arredamento e del lifestyle – l’Italia ha un heritage fortissimo nella tradizione culturale, prima ancora che professionale e tecnica, dei suoi artigiani.
Questo “sapere” si traduce concretamente in:
– realizzazione di prodotti unici e realizzati “su misura” per la persona, per la famiglia, per l’attività commerciale
– i costi di questi prodotti, grazie alla competenza dei processi e dei materiali, sono assolutamente sostenibili e competitivi, e possono essere gestiti e controllati
– la durata è eterna, grazie a una qualità assoluta
– i tempi di produzione sono rapidi e gestibili
– la relazione è personale, reale, diretta; con facce e persone, non con un brand o un servizio clienti
– ciò che viene prodotto è espressione di se stessi, e può assecondare o meno la moda del momento
Inoltre, acquistando un prodotto artigiano italiano, finanziamo le nostre imprese, costruiamo un pezzetto di futuro per i nostri figli.
Non penseremo mica che per essere equo solidali basta comprare qualche etto di caffè fair trade?
Se crediamo nel nostro Made in Italy investiamo in Italia. Le PMI italiane investono ogni giorno in questo paese. Da consumatori dovremmo fare altrettanto.
Per esempio, ripromettiamoci di comprare solo Made in Italy ( anche se costa di più sappiamo il perché) e facciamo orgogliosamente da testimonial dei ns prodotti e del ns stile di vita.
Forse, il mondo ha ancora bisogno di questo piccolo paese a forma di stivale. Viva l’Italia!
(Daniela Podda)